Egle ha gli occhi azzurri come il mare della sua Venezia, i capelli biondi che lasciano intravedere qualche filo grigio, la stanchezza degli “ottanta”. Passati da un po, credimi – sussurra.
Abita in zona ospedaliera, in un appartamento grande, grandissimo. “E’ un po vuoto, ma sai sono vedova, mio figlio è grande e convive, ma io dalla casa della mia vita non me ne vado. Sono autonoma, faccio tutto da sola”.
Compreso stare in casa.
E li una sera tre uomini dell’est l’hanno brutalizzata, una quarantina di giorni fa. Lei lo ricorda ancora, non si rassegna alla paura, ma ci deve convivere, e non è facile.
“Stavo preparando la cena, racconta, avevo la tv accesa, non altissima perché sento ancora bene. Ma avevo una bistecca sul fornello, forse l’acqua che scorreva, non ho sentito nulla”.
Questo nulla significa tre uomini, col volto parzialmente trafelato, che hanno aperto, tramite un piccolo foro, la porta finestra della camera, dopo essere saliti su per la grondaia, fino al balcone.
“Probabilmente nelle camere avevano frugato ovunque, a giudicare dal caos che ho trovato – ricorda – poi si sono palesati in cucina. Hanno detto che era giorno di pensioni, che dovevo averla ritirata”.
Ma…”Ma io ho la domiciliazione, dopo che dieci anni fa me l’avevano rubata della specie di addetti del gas. In casa non tengo mai più di 100 euro, non ho gioielli, perché mio figlio me li tiene in banca in cassetta di sicurezza, solo la mia fede e quella di mio marito, ma le avevo al dito. E non le volevo mollare”.
E nemmeno loro, però, volevano mollare. “Mi ha salvato mio figlio, il telefono, il citofono. Avevo un appuntamento telefonico con il mio nipotino di sei anni, e mio figlio ha telefonato. Eravamo d’accordo da due ore prima, sapeva che dovevo essere in casa. Loro mi hanno impedito di rispondere così lui, che abita poco distante, è venuto a vedere. Quando ha suonato il campanello, loro sono scappati”.
Però rimane la paura. “Non sono mai stata paurosa. Ho vissuto la guerra, perso padre e fratelli, poi mia madre di influenza. Poi sono rimasta vedova giovane, ho tirato su mio figlio da sola, facendo l’impiegata la mattina e le pulizie il pomeriggio. Appena ho potuto mi sono iscritta alle serali, a sessant’anni mi sono laureata. Tutte le mattine mi faccio la spesa, a turno ospito o sono ospite di amiche per la canasta e la briscola, vado a ballare i lenti ogni due giovedì. Ma da quel giorno ho sempre angoscia.
Quando faccio la spesa mi guardo le spalle, se tiro fuori il borsellino per pagare un caffè ho paura di essere aggredita da dietro. In casa faccio attenzione, tiro giù sempre le tapparelle appena fa buio, mio figlio mi vuole mettere l’allarme ma io non voglio sentirmi in gabbia, però ad ogni rumore ho paura. E la notte non dormo, tengo l’orecchio teso, è come se avessi subito un trauma”.
Se voglio dire qualcosa a quegli animali? “Che hanno strappato la serenità a quella che potrebbe essere loro nonna. Se hanno una coscienza o una religione, chiedano scusa, ma immagino non siano nemmeno capaci”.