Scetticismo o opportunità: i due volti della pensione integrativa

Scetticismo o opportunità: i due volti della pensione integrativa

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Scetticismo da una parte, ottimismo e possibilità di guadagno dall’altra. Quando si parla di pensione complementare o integrativa, l’Italia si spacca effettivamente a metà: da una parte, tutti coloro che credono che sia importante evitare i prodotti finanziari che consentono ai lavoratori di migliorare la propria pensione perché troppo rischiosi, dall’altra chi sostiene che questa misura sia ormai imprescindibile alla luce dell’attuale sistema previdenziale italiano.

Prima di giungere ad una conclusione e far pendere l’ago della bilancia dall’una o dall’altra parte, è importante conoscere definizioni e caratteristiche di ogni prodotto finanziario legato alla pensione integrativa.La prima categoria è senz’altro la più conosciuta dai lavoratori dipendenti: si tratta dei fondi pensione negoziali,ottenuti al termine di una contrattazione collettiva da categorie di lavoratori, da aziende o da gruppi geografici e a cui può essere destinata una parte del TFR ma che peccano di poca flessibilità.

I fondi pensione aperti sono invece quegli strumenti finanziari dedicati a tutti i lavoratori, sia indipendenti che autonomi. I lavoratori possono decidere l’importo da versare in maniera periodica al fondo: per i dipendenti, è sempre il TFR ad essere tirato in ballo, mentre gli autonomi sono più liberi di decidere le cifre da destinare all’integrazione dell’assegno previdenziale sociale.

Altro prodotto presente sul mercato sono i Piani Individuali Pensionistici. I PIP sono strumenti molto flessibili, votati alla prudenza, che convogliano tutti gli investimenti in portafogli o in Fondi a ETF a basso. Tra i vantaggi appurati una defiscalizzazione fino a 5.164,57 euro di investimenti annui e la massima libertà di decidere quando e come investire.

Gli scettici non vedono in questi aspetti opportunità e criticano una serie di limiti e difetti connaturati a questi prodotti finanziari.Le forme di pensione integrative sarebbero infatti eccessivamente esposte al rischio, in quanto dipendenti dall’andamento dei vari mercati e al contempo non riconoscono all’investitore garanzie reali né sul potere d’acquisto del capitale né tanto meno sulla rendita futura.

La mancanza di chiarezza di alcuni operatori del mercato finanziario renderebbe poi le pensioni integrative poco trasparenti, soprattutto in merito alle operazioni di compravendita di azioni, obbligazioni ed ETF. In definitiva, anche i vantaggi fiscali sarebbero totalmente assorbiti dagli altri costi connessi alla gestione delle somme versate.

Chi non vuole correre rischi, può decidere di recuperare interamente il TFR al termine del rapporto lavorativo, che ha ben altre caratteristiche: non ha costi aggiuntivi, è sicuramente trasparente e sicuro ed è una rendita integrativa certa, convertibile anche in rendita vitalizia. I più intraprendenti, anche se poco esperti del mercato finanziario, potranno invece valutare gli investimenti in PIP o in Piani di Accumulo Capitale dalla grande flessibilità, che danno la possibilità di analizzare l’andamento e di disinvestire con maggiore facilità.

La scelta potrebbe essere indotta anche ai sensi del decreto legislativo numero 252 del 2005, secondo cui, qualora il neo-assunto non opta per i fondi complementari entro i primi sei mesi, rischia di lasciarlo in azienda nel rispetto del cosiddetto silenzio assenso. A detta dei più scettici, questa opzione potrebbe essere la più sicura e senza dubbio non espone ad alcun tipo di rischio, ma per ottenere un assegno integrativo più congruo gli italiani potrebbero correre qualche rischio calcolato in più, scegliendo i fondi che danno più garanzie e offrono maggiore trasparenza.

 

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