Credeva di essere al sicuro, in una località protetta, assegnatagli dallo Stato da quando si era pentito nel 2015, chiuso tra le mura di una casa al di fuori della quale nessuno doveva conoscere la sua vera identità.
Ma tre uomini, il 18 aprile scorso, lo hanno minuziosamente cercato, trovato mentre rientrava da una visita medica senza scorta, e infine massacrato di botte per chiudergli la bocca, lasciandolo con una minaccia chiara: «Quando ti riprendi rettifica tutte le dichiarazioni che hai fatto».
Un agguato oscuro – forse su commissione ma per ora senza mandati chiari – che ha portato al grave ferimento di Paolo Signifredi, 53 anni di Baganzola, sedicente commercialista ritenuto il cassiere della ’ndrangheta cutrese al nord, pentitosi dopo essere stato arrestato nelle more del processo Pesci di Brescia, nel quale è stato poi condannato in appello a 4 anni in abbreviato per associazione mafiosa. Con il suo pentimento nei processi per mafia Signifredi è divenuto l’uomo chiave delle procure.
L’agguato è venuto a galla solo ieri, durante l’udienza a Reggio Emilia del complesso processo su una frode fiscale da 130 milioni di euro e che ha come imputato principale Massimo Ciancimino, figlio del noto mafioso don Vito che fu sindaco di Palermo, e uomo chiave del processo Stato-mafia da poco concluso.
Signifredi ha sempre preso parte al processo sull’acciaio a Reggio Emilia – sede della principale società indagata – scortato da agenti in borghese ma protetto da un semplice paravento.
Ieri l’assenza è stata giustificata da un certificato medico con prognosi di 30 giorni prodotto tramite il servizio centrale protezione: «È stato vittima di un agguato, non può muoversi per le fratture riportate, chiediamo il rinvio dell’udienza» ha detto il suo avvocato, Maria Teresa Pergolani del foro di Roma: «Il fatto è di assoluta gravità e chiediamo quindi che le prossime udienze avvengano in video collegamento».
Il pestaggio di Signifredi alza il livello di allerta nelle procure di mezza Italia. I tre picchiatori lo hanno atteso fuori dalla casa nella località protetta, l’ennesima assegnatagli in oltre due anni di collaborazione con la giustizia nei processi contro la ’ndrangheta Pesci di Brescia, Aemilia a Reggio Emilia (il più grande processo contro la ’ndrangheta al nord) e Kyterion a Crotone, nel quale si parla degli affari calabresi della cosca Grande Aracri di Cutro, per la quale è stato il contabile al nord, andato giù per conoscere di persona il boss Nicolino Grande Aracri.
Le confessioni di Signifredi – peraltro ex presidente tra il 2003 e il 2004 della squadra di calcio del Brescello, primo comune emiliano sciolto per mafia nel 2016 – hanno aperto nuovi filoni, chiarito intrecci e dato il via a indagini con conseguenze giudiziarie ancora da stabilire. Una figura emblematica di quella zona grigia abitata da politici, professionisti e imprenditori del nord che hanno creato fortune personali agevolando l’infiltrazione mafiosa nel ricco tessuto economico tra il Po e le Alpi, divenuti terra di conquista. Ma non solo: era anche al soldo di semplici imprenditori slegati dalle mafie, che volevano celare patrimoni.
Due mesi fa è stato condannato a 5 anni a Treviso per il crac della Dal Ben Tre di Monastier. Poco prima per il crac delle Officine Zanatta srl di Falzè. Un teste che sta alimentando almeno una decina di inchieste in Italia.