I servizi educativi per la prima infanzia sono essenziali per promuovere lo sviluppo cognitivo, linguistico e sociale delle nuove generazioni, rendendo la gestione famigliare compatibile con l’attività professionale; nelle comunità di nidi e materne inoltre si realizza la vera integrazione sociale sia per le famiglie straniere che per quelle autoctone con svantaggio culturale.
In questi anni le iscrizioni in questi servizi sono costantemente calate, e in maniera nettamente superiore al calo delle nascite. Il motivo è principalmente nelle alte rette: solo le fasce economicamente molto basse possono usufruire di tariffe contenute, in tutti gli altri casi è sufficiente che entrambi i genitori lavorino per raggiungere un ISEE che porta le rette a cifre impossibili.
L’amministrazione della nostra città ha deciso di eliminare il Quoziente Parma senza sostituirlo con altre forme di agevolazioni (sono previsti sconti solo per fratelli che frequentano le stesse strutture, in caso di fratelli più grandi non è possibile alcuna riduzione). A Parma le rette più alte sono decisamente superiori a quelle degli altri capoluoghi emiliani.
In questo modo si penalizzano le famiglie del ceto medio, che trovano soluzioni alternative (nonni, baby sitter, rinuncia di un genitore al lavoro) e provocano una riduzione di entrate nelle casse del comune. Le strutture private diventano convenienti e concorrenziali. Questa politica miope induce un ulteriore calo della natalità, creando un perverso circolo vizioso.
Le soluzioni non sono certo la chiusura delle strutture, né la sostituzione dei servizi con voucher che la famiglia può spendere come meglio crede. Occorre una politica per le famiglie che abbia una visione a lungo termine, con la consapevolezza che le spese per la prima infanzia sono il maggiore investimento che una comunità può fare. Lo dicono i dati. Lo dice il buon senso.