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Attiviste di “Non una di meno” bloccate dalla Polizia con armi in pugno

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L’associazione “Non una di meno” di Parma, che combatte la violenza sulle donne, denuncia che alcune attiviste intente ad affiggere manifesti per la manifestazione che si terrà in città l’8 marzo, sono state fermate, perquisite e spaventate dagli agenti della Polizia di Stato intervenuti dopo una segnalazione al 113. Una notte di terrore, per loro, quella tra l’1 e il 2 marzo, quando – sottolineano – si sono viste circondate dagli agenti con armi alla mano.

Questo il racconto delle attiviste di “Non una di meno” di Parma, affidato ai social dell’organizzazione.

Poco prima dell’1.00 di notte ci trovavamo in una delle vie principali di Parma, intente a verificare se ci fosse la possibilità di affiggere un semplice manifesto per il corteo cittadino dell’8 marzo. Vista l’impossibilità di procedere a causa dell’assenza di una bacheca pubblica abbiamo deciso di andar via. Mentre ci accingevamo a risalire in macchina abbiamo notato che un passante si apprestava a riferire, al telefono, il numero di targa della nostra auto. Nel giro di qualche istante sono sopraggiunte, sfrecciando e a sirene spente, due volanti della polizia che hanno circondato la macchina. Dalle volanti sono scesi quattro agenti, con le pistole puntate verso di noi. Ci hanno ordinato di allontanarci immediatamente dal veicolo con le mani ben in vista e di metterci contro il muro. Uno di loro ha aperto la portiera della macchina e puntando la pistola addosso alla conducente le ha intimato di scendere, evidentemente con l’intenzione di rendere più efficace un ordine emesso già aggressivamente. Nonostante la paralisi iniziale causata dallo shock nel vedersi un’arma puntata contro, abbiamo eseguito l’ordine senza opporre nessuna resistenza.

Messe spalle al muro, con le pistole puntate ancora addosso, c’è stato chiesto di fornire i documenti di riconoscimento e del veicolo. Nel frattempo ci è stato controllato il materiale sospetto (qualche pennello, 8 manifesti in formato A2 e una bottiglia da 0,5 L di colla). Dopo aver proceduto all’identificazione gli agenti hanno chiesto alla conducente di aprire il bagagliaio per consentirne l’ispezione; stesso controllo è stato riservato al suo zaino personale. Mentre con un atteggiamento sempre più aggressivo si rifiutavano di permetterci di dare e avere spiegazioni, non avendo trovato nulla di pericoloso o sospetto, e soprattutto osservando che nessun manifesto uguale ai nostri fosse affisso su qualche parete, si apprestavano (dopo un’angosciante attesa) a restituirci i documenti.
L’unica giustificazione che ci è stata data è stata quella di aver ricevuto un “certo tipo di segnalazione” senza però fornire ulteriori spiegazioni.

Lo shock è stato tale da causare ad una delle persone coinvolte delle crisi di panico, durate fino al giorno successivo, che l’hanno costretta a recarsi in ospedale dove le è stata diagnosticata una “Sindrome Ansiosa Reattiva dopo evento traumatico” e le è stato somministrato il farmaco Lexotan.” Anche la visita in ospedale si è rivelata emblematica: il medico di turno ha infatti preferito concentrarsi più sul contenuto dei manifesti che sulle cause che hanno provocato il trauma alla ragazza, ridicolizzando non soltanto l’accaduto, ma anche la lotta contro la violenza sulle donne definendola una “moda”, senza risparmiare commenti sessisti.

Dal momento in cui ci apprestiamo a presentare un Piano Antiviolenza Femminista, abbiamo deciso di denunciare pubblicamente l’accaduto perché riteniamo che sia indispensabile una seria riflessione sui metodi di condotta delle forze dell’ordine e sulle nuove misure contenute nel recente decreto Minniti sulla sicurezza urbana approvato dal consiglio dei ministri, che prevede la costruzione e l’apertura di nuovi centri d’espulsione e introduce sanzioni pesantissime come il “daspo urbano”, applicabile anche a chi deturpa zone della città. Nel caso specifico non ci è stata riconosciuta nessuna infrazione, prova ne è il fatto che il nostro materiale (pochi manifesti) non sia stato sequestrato, ma questo non ci esime dal sostenere la pericolosità del nuovo impianto repressivo”.

Una vicenda particolare ancora da chiarire in tutte le sue sfaccettature, ma che di certo non è andata giù alle sfortunate protagoniste della vicenda, né alla stessa associazione che si abbandona poi ad alcune valutazioni su leggi e metodi delle forze dell’ordine.

Ci chiediamo se davvero sia ancora possibile che persone in divisa possano agire utilizzando pratiche che di democratico hanno ben poco – tuona l’associazione -. Il caso Bonsu è ancora vivo nella memoria dei parmigiani. Ci chiediamo se davvero, in base ad una segnalazione telefonica e senza nessuna prova certa, sia possibile estrarre una pistola, puntarla in faccia ad una giovane donna e poi dire “ci siamo sbagliati”. Crediamo che la vera pericolosità sociale derivi dal fatto di concedere sempre più poteri ad apparati corporativi dello stato e vicende come questa ci danno la misura di quanto sia necessario affrontare l’argomento della violenza in tutte le sue declinazioni. L’8 Marzo sciopereremo, invaderemo le piazze e le strade delle città in tutto il mondo! Perché ci rifiutiamo di accettare – conclude l’organizzazione – le derive securitarie imposte dalle politiche governative, ci rifiutiamo di vivere in un clima di terrore causato dagli abusi da parte delle forze dell’ordine! Le forme di tutela che vogliamo sono ben diverse dalle vostre politiche della paura, del controllo sui corpi e sulle menti“.

E’ un po’ il gioco di chi la vuole cotta e chi la vuole cruda. Tra chi oggi non è mai soddisfatto del livello di sicurezza e chi invece si scaglia contro quello che si definisce “militarismo”. Di certo però non si possono criminalizzare uomini delle forze dell’ordine che in piena notte – senza alcuna tutela – vanno incontro a potenziale rischi per la loro incolumità. Ladri e delinquenti non hanno divise, né il bollino in fronte. E spesso sono proprio questi gli atteggiamenti che spingono ed autorizzano a voltarsi dall’altra parte. In attesa delle indagini…

Intanto dalla Questura si è saputo che la segnalazione arrivata al 113 parlava di cinque persone con il volto coperto che stavano versando del liquido sulla facciata del liceo Sanvitale. In effetti, gli agenti al loro arrivo hanno identificato 5 persone – 3 ragazze e 2 ragazzi, di cui uno con qualche precedente – che avrebbero avuto il volto coperto. L’azione degli agenti rientra nelle norme antiterrorismo, in quanto la vicina Prefettura e ritenuta obiettivo sensibile.

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