Hanno isolato e studiato singolarmente le cellule anti-virali per eccellenza, i linfociti T, che nei pazienti infettati cronicamente dal virus dell’epatite B sono “esauriti”. Ne hanno scandagliato l’assetto genico. E hanno scoperto infine come rigenerarli, grazie all’uso di specifici farmaci ad azione su una loro singola componente, il mitocondrio, ossia la centrale energetica della cellula. Come se fossero delle batterie esaurite ne hanno ricaricato le pile.
La scoperta, che arriva da un gruppo di ricercatori coordinati dal professor Carlo Ferrari, è stata pubblicata sull’ultimo numero di Nature Medicine una delle più prestigiose riviste mondiali in ambito biomedico e apre nuove frontiere nella cura dell’epatite B, malattia del fegato che colpisce nel mondo circa 400 milioni di persone in modo cronico.
Lo studio dimostra infatti come il trattamento con antiossidanti specifici per il mitocondrio determini un miglior funzionamento dei linfociti T, che sono le cellule responsabili della risposta immunitaria anti-epatite.
Il lavoro, sostenuto dalla Regione Emilia-Romagna con uno specifico programma di ricerca, ha come primo firmatario la biologa Paola Fisicaro dell’unità operativa di Malattie Infettive ed Epatologia e nasce da una collaborazione tra il team di ricercatori della struttura diretta dal prof. Ferrari e il gruppo di ricerca del professor Simone Ottonello del Dipartimento di Scienze Chimiche, della Vita e della Sostenibilità Ambientale, che opera anche all’interno del Laboratorio del Tecnopolo Biopharmanet-Tec dell’Università di Parma.
La persistenza dell’infezione nei pazienti affetti da epatite cronica dipende infatti da un black-out della risposta immunitaria nei confronti del virus e può causare danno epatico cronico che può evolvere in cirrosi e talvolta in epatocarcinoma. «Le terapie al momento disponibili – spiega Ferrari – pur ben tollerate, devono generalmente essere somministrate per l’intera vita del paziente e spesso non sono in grado di stimolare una risposta immunitaria adeguata a controllare il virus in modo stabile».
«Lo studio – precisa Fisicaro – si è focalizzato sull’analisi dell’intero set di geni espressi dalla popolazione di linfociti TCD8, quelli più importanti per la protezione antivirale, che sono generalmente deboli o assenti, al fine di individuare eventuali alterazioni suscettibili di correzione farmacologica, nell’ipotesi che un ripristino funzionale di queste cellule possa rappresentare una nuova ed efficace modalità terapeutica per l’epatite cronica B». Lo studio, in vitro, è stato condotto sia su pazienti cronici affetti da infezione persistente da parte di HBV, sia su soggetti guariti dall’epatite B, con risoluzione spontanea dell’infezione poche settimane dopo averla contratta.
Una grande difficoltà incontrata nell’esecuzione di questo studio è consistita nel numero estremamente esiguo di linfociti T recuperabili dal sangue periferico dei pazienti con infezione cronica da HBV. A questa limitazione si è riusciti a far fronte anche grazie alla collaborazione con i ricercatori del team di genomica del Professor Massimo Levrero dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Roma (CNLS-IIT), che hanno messo a punto un sistema sperimentale per valutare il profilo d’espressione di specifici set di geni a livello di “singola cellula”.
«Tecnologie di assoluta avanguardia – spiega Ottonello – ci hanno consentito di isolare singole cellule del sangue, caratterizzando il profilo genico individuale e permettendoci di scoprire che i linfociti T HBV-specifici dei pazienti cronici presentano un profilo d’espressione genica fortemente alterato, soprattutto per quanto riguarda i geni coinvolti nel metabolismo energetico, con marcate alterazioni funzionali a carico dei mitocondri, le “centrali energetiche” della cellula».
Facendo seguito a questa osservazione, il gruppo di ricercatori ha dimostrato come il trattamento con farmaci antiossidanti selettivi per il mitocondrio porti ad un sensibile ripristino funzionale dei linfociti T e quindi ad un miglioramento della risposta immunitaria. «Questo risultato – conclude Fisicaro – offre nuove speranze per il trattamento dell’infezione cronica da HBV, ma anche di altre patologie (di tipo virale e non) contrassegnate da un deficit funzionale dei linfociti T e dall’assenza di risposte immunitarie adeguate».