Il carcere di Parma è tra i più affollati dell’Emilia Romagna. In termini numerici fa concorrenza soltanto Bologna. Su una capienza regolamentare di 468 posti, al momento in via Burla si trovano 587 detenuti, dei quali 461 condannati in via definitiva e 126 ancora in veste di imputati. Gli stranieri reclusi sono 194 (due con provvedimento di espulsione). Ma quella di Parma è una struttura carceraria particolarmente complessa, per la presenza di una sezione del 41 bis (carcere duro per condanne per criminalità mafiosa), nella quale sono circa 80 gli ergastolani ostativi e altri 70 in alta sicurezza. Nella struttura è presente anche un centro diagnostico terapeutico con 20 posti. Ma in tutto sono una sessantina i detenuti invalidi, alcuni dei quali aiutati da altri reclusi. Ed è in fase di realizzazione un nuovo padiglione che ospiterà 200 detenuti i cui lavori dovrebbero essere completati entro gennaio 2018.
Numeri da capogiro che mal si conciliano con le carenze d’organico della Polizia penitenziaria. Rispetto alla pianta organica che prevede 417 unità in servizio – malgrado le promesse della politica – mancano ancora un centinaio di agenti visto che gli effettivi sono solo 320. E per fortuna che a Parma il buon cuore dei giudici ha concesso pene alternative al carcere ad altre 150 persone, altrimenti dietro le sbarre sarebbe stato certamente il collasso.
Numeri in parte emersi nell’ambito dell’incontro di congedo con la Garante regionale delle persone private della libertà personale, Desi Bruno, che termina il suo mandato durato cinque anni. Delle strutture di detenzione regionali, Bruno cita proprio il ‘caso’ di Parma: un carcere di massimo rigore, con una situazione “particolarmente complessa”, dove sono confinati 200 detenuti in “alta sicurezza”, altri in regime di 41 bis, quindi “membri della criminalità mafiosa”, 80 ergastolani. Riguardo a questi ultimi, la Garante parla di un “tema che ci ha molto toccato, che muove le coscienze”. Nel carcere di Parma è compreso un ospedale con 20 posti, aperto a carcerati in grave stato di salute provenienti da altre strutture. Si sta costruendo anche un’ala con altri 200 posti, un progetto che vede la Garante “contraria, perché non risolve il problema di un carcere che ha più bisogno di altri di attenzione”.
“Sono 3.273 i detenuti presenti negli istituti penitenziari dell’Emilia-Romagna (54.912 in Italia), il 48,4% stranieri e il 95,9% uomini. La capienza regolamentare delle carceri della regione corrisponde a 2.797 unità”, ha reso noto Desi Bruno.
I detenuti stranieri sono 1.583 di 78 nazionalità: i marocchini (340) sono i più numerosi, seguiti da tunisini (295), albanesi (245), romeni (159), nigeriani (82), algerini (46), pakistani (41), moldavi (31), senegalesi (26), georgiani (20) e bosniaci (20). Le espulsioni di stranieri a titolo di sanzione alternativa, tra gennaio e ottobre, sono state 49. Sono invece 86 i detenuti beneficiari del lavoro all’esterno: 55 sono impegnati in servizi extramurari e 31 lavorano fuori. E 30 i semiliberi: 28 per datori di lavoro esterni e 2 in proprio.
“Chiudo questa esperienza che ha consentito di raggiungere importanti risultati, sperando che l’enorme rete di relazioni intessuta con tutti i soggetti coinvolti sul tema delle carceri e delle persone che vi sono detenute sia mantenuta”, ha detto la Bruno. Anni di luci, ma anche di ombre: “Ho sempre cercato la mediazione ad alto livello – afferma – di tenere una posizione terza che rispettasse e comprendesse tutte le sensibilità, senza comportamenti demagogici, e spesso questo metodo ha pagato”.
Luci e ombre durante il mandato: tra le prime – afferma Bruno- certamente la chiusura dei due Cie di Bologna e Modena, dopo la denuncia di carenze igienico-sanitarie, inoltre il superamento dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia e la nascita di due Rems (Residenze esecuzione di misure di sicurezza) a Bologna e in provincia di Parma (Mezzani). C’è poi stata la sentenza della Corte europea dei diritti umani del 2014 sulla situazione di sovraffollamento delle carceri, arrivata nel 2010 al limite della sopportabilità con il doppio dei detenuti rispetto alla capienza. Da qui, sono state attivate misure alternative, come gli arresti domiciliari, che hanno portato a una riduzione della popolazione carceraria – riferisce – tanto che nel 2015, in Emilia-Romagna, il sovraffollamento ha raggiunto una percentuale del 103%, che, tuttavia, in questo ultimo anno ha dato segnali di ripresa per attestarsi al 117% (2.911 detenuti nel 2015 contro i 3.273 di quest’anno). Bruno ricorda anche la ricerca svolta sulla “detenzione al femminile”, che vede solo il 4% dei detenuti di sesso femminile. A parere della Garante “potrebbero rimanere fuori dal carcere, salvo casi di estrema gravità”.
“Molto alto – aggiunge – il numero dei detenuti stranieri. In alcune carceri, per esempio in quello di Modena, sono addirittura superiori agli italiani”. La media in Emilia-Romagna è infatti del 48,4% contro il dato nazionale del 33,8%: si tratta di persone di origine europea e extraeuropea. Più facile – spiega – far scontare la pena nel paese di origine ai primi che non agli extracomunitari. “La presenza di molti stranieri irregolari – evidenzia Bruno – pone problemi di convivenza, con conflitti più importanti tra detenuti, con gli operatori e diversi casi di autolesionismo”.
Altro dato positivo riportato da Bruno il “regime a celle aperte per più ore”. Questa iniziativa, tuttavia – ribadisce – ha un senso solo se lo stare fuori dalla cella è accompagnato da attività importanti che occupino il detenuto, in caso contrario aumentano i conflitti. E qui una prima ombra: per la Garante “manca un progetto vero che tenga impegnate le persone carcerate. Un carcere che dia la possibilità di studiare e lavorare è meglio di ogni pena, mentre se questa possibilità non c’è la situazione si complica, soprattutto dove sono presenti stranieri”.
Sul Piano carceri emerge un’altra ombra: per Bruno va “fermato”. Gli spazi, infatti, si possono recuperare senza continuare a costruire nuove strutture che coesistano con le vecchie, ma non funzionino meglio. Manca, tuttavia, un “progetto vero sull’edilizia carceraria, come c’è carenza di educatori, psicologi, guardie carcerarie, tanto che in alcune strutture, come a Piacenza, si fanno pochissime attività per il numero esiguo di educatori”.
Particolare attenzione di Bruno nei confronti della Casa di reclusione di Castelfranco Emilia, nel modenese, “un vero scandalo perché questo patrimonio immenso, con infinite aree inutilizzate, officine e campi vocati all’agricoltura, potrebbe servire all’avvio al lavoro” di almeno 200 detenuti. La Garante punta il dito sull’”assenza dell’amministrazione penitenziaria centrale”, che mostra “una colpevole disattenzione a fronte di centinaia di detenuti che non lavorano”.