A Parma il giudice aveva fatto uno “sconto” alla Parmacotto Spa, riducendo l’entità del sequestro a 9,7 milioni di euro rispetto agli 11 chiesti dalla Procura. A Modena, invece, dove l’inchiesta è passata per competenza territoriale come richiesto dagli stessi legali della società fondata dalla famiglia Rosi, nessuna sforbiciata: sotto sequestro 11 milioni, così come chiesto dall’accusa.
L’inchiesta è quella relativa al finanziamento pubblico da 11 milioni di euro concesso sottoforma di aumento di capitale dalla ministeriale Simest nel settembre 2011, il tutto sulla base di un bilancio “ritoccato” per nascondere le pesanti perdite che hanno poi indotto Parmacotto, nel 2014, a chiedere un concordato preventivo la cui procedura è ancora in corso in attesa dell’omologa. Alla quale proprio la Procura di Parma si oppone.
Insomma, l’inchiesta che vede indagati con l’accusa di truffa aggravata Marco Rosi e Marco Delsante, all’epoca dei fatti ai vertici della Parmacotto, a Modena è partita in salita. La competenza del tribunale modenese è dovuta al fatto che il finanziamento arrivato da Roma è passato su un conto che la società aveva aperto all’Unicredit proprio di Modena.
Ma l’appuntamento più importante per Parmacotto Spa è al tribunale di Parma, il prossimo 23 novembre, quando si dovrà decidere l’omologa di quel concordato che non solo consentirebbe ai creditori di rientrare almeno di circa la metà delle loro spettanze, ma anche alla Spa di proseguire l’attività scongiurando il fallimento.