Sono bastate la promessa di una certa somma di denaro e di un nuovo posto di lavoro per lui e per un cugino per far cadere ogni resistenza a un agente della polizia penitenziaria in servizio nel carcere di via Burla, che ha così portato un telefonino e un registratore a uno dei detenuti. Era il novembre 2014 e quel detenuto si chiama Gaetano Leto, 58 anni, crotonese.
Con quel telefono intestato a un ignaro straniero residente a Parma, l’uomo ha telefonato un paio di volte alla Procura di Genova, presentandosi anche come il “generale Ganzer” – nome del comandante del Ros dei carabinieri – per annunciare delle grosse rivelazioni che avrebbero potuto evitare una strage. In una di quelle telefonate, parlando con un magistrato, Leto si è addirittura presentato con il suo vero nome.
Ma come poteva telefonare così liberamente se era rinchiuso in carcere? Il caso è così passato alla Procura di Parma che ha ricostruito tutta la vicenda che ha poi portato alla sospensione dal lavoro e alla denuncia per corruzione dell’agente della penitenziaria, ma anche per Leto e per il figlio che avrebbe consegnato all’agente il registratore da portare al padre e una “banconota da un milione di dollari”. Ovvero nulla, solo la promessa di un pagamento futuro.
Gaetano Leto per quella storia è stato condannato dal tribunale di Parma a 3 anni e 4 mesi, mentre il figlio è stato assolto. L’agente è invece ancora in attesa di giudizio.