A sole 24 ore dalla clamorosa truffa da 3 miliardi di euro scoperta dalla Guardia di Finanza di Parma, che ha portato in manette sei persone (leggi), un’altra indagine delle Fiamme Gialle ha sfiorato la città ducale portando alla luce un vasto giro di false fatturazioni per circa 930 milioni di euro. Ben 29 gli arresti ordinati dal gip Massimo Gerace, di cui 18 in carcere, e 218 indagati a piede libero. Tra cui ci sarebbero anche persone di Parma.
L’operazione “Round Trip” della Finanza di Vicenza, oltre che nella città veneta, e a Parma, ha portato a provvedimenti anche a Cosenza, Catania, Cremona, Ragusa, Roma, Bergamo, Brindisi, Biella, Milano, Napoli, Pescara, Varese, Udine, Alessandria, Verona e Treviso.
Dalle prime luci dell’alba, oltre 120 militari del Comando provinciale di Vicenza, in collaborazione con numerosi Reparti del Corpo sul territorio nazionale e con le Polizie di 5 Paesi esteri – Svizzera, Slovenia, Croazia, Inghilterra e Stati Uniti – sono entrati in azione per chiudere una “multinazionale” che almeno dal 2009 aveva messo in piedi un collaudato sistema “carosello” per aggirare i pagamenti dell’Iva e mettere a segno reati in ambito fallimentare.
Le indagini, coordinate dal sostituto procuratore Barbara De Munari, sono state condotte, fin dal 2013, dal Nucleo di Polizia Tributaria di Vicenza mediante un imponente sforzo investigativo, utilizzando anche speciali software d’indagine, che ha visto impegnato decine di militari in attività di intercettazione telefonica (quasi 75 mila le conversazioni ascoltate) e telematica, di perquisizioni e di pedinamenti su tutto il territorio nazionale nonché di riscontri documentali mediante l’esecuzione di numerose verifiche fiscali, nei confronti di ben 218 indagati, praticamente tutti di nazionalità italiana (infatti, solo un denunciato è straniero – un serbo – peraltro residente da anni a Vicenza).
Ne è risultato un complesso intreccio di società (in tutto 180), sia nazionali (145, di cui una a Parma, ma in gran parte con sede in Milano e Roma, delle quali 76 cosiddette “cartiere” e 69 “filtri”/”broker”, quest’ultimi costituiti da 15 “filtri puri” e da 54 società invece effettivamente esistenti ed operative, nonché dotate di una reale struttura organizzativa e di dipendenti) e di società estere (35 cosiddette “conduit” di 15 Paesi comunitari: 4 in Austria, 4 a Malta, 4 in Repubblica Ceca, 4 in Slovacchia, 3 in Polonia, 2 in Belgio, 2 in Bulgaria, 2 in Croazia, 2 in Germania, 2 in Romania, 1 Cipro, 1 in Gran Bretagna, 1 in Irlanda, 1 in Lettonia e 1 nei Paesi Bassi) strumentalmente utilizzate per non versare all’Erario oltre 130 milioni di euro di Iva.
La complessa attività ha permesso di accertare un giro di fatture per operazioni inesistenti pari a 930 milioni di euro, relative a svariati prodotti tra i quali certamente maggior peso hanno avuto tablet, supporti digitali e televisori, anche se l’organizzazione ha diversificato trattando anche altra merce come toner per stampanti e materie prime alimentari, quali farine, zucchero e latte in polvere. Il sistema criminale ha apportato ingegnose varianti alla classica frode carosello, allo scopo di rendere più difficoltosa l’individuazione della rete di società utilizzatrici delle fatture false.
Pertanto, la merce – che già si trovava nel territorio italiano, veniva ceduta, molto spesso solo cartolarmente, in regime di reverse charge (cioè in sospensione d’imposta), a un’azienda comunitaria, la quale rivendeva (sempre in reverse charge e sempre solo mediante trasferimenti meramente cartolari) alla società “cartiera” italiana. Quest’ultima cedeva ulteriormente la merce (questa volta con Iva e “sottocosto”) a una o più società “filtro”, le quali – infine – la rivendevano al beneficiario finale della frode. Da tale circuito, consegue che la “cartiera” (o “missing trader”), nel breve volgere di pochi mesi, matura un ingente debito Iva (quella riscossa nel momento della cessione alle società “filtro”) che però non versa; la sede della società viene, quindi, dapprima trasferita in una grande metropoli (Roma o Milano) e, conclusivamente, allocata all’estero dove viene “rottamata” lasciando dietro di sé un cospicuo debito tributario non più esigibile e l’impossibilità di dichiararne il fallimento.
Le varianti al sistema classico prevedono l’interposizione di più “conduit”, sedenti anche in Paesi differenti, e l’ingegnosa eliminazione della figura della “cartiera”, sostituita da un “filtro”: la società italiana che acquista dalla “conduit” comunitaria neutralizza il rilevante debito Iva che andrà a maturare con un articolato intreccio di operazioni (questa volta oggettivamente inesistenti) con altre due società (entrambe “cartiere”) che si pongo al di fuori del circuito proprio della frode carosello e, perciò, non immediatamente riconducibile alla frode stessa.