Bryan è nato senza gambine, senza piedini. Bryan non avrà una vita normale, e siamo ancora tutti a cercare il perché.
Da una parte le gestanti del Maggiore, coppie più o meno giovani che si aggirano tra ecografi e speranze, dall’altra i medici. Che alla parola “stampa” coprono il badge indicante il loro nome perché no, un collega non si tradisce.
Due modi diversi di vivere un dramma, due percezioni diverse dello stesso. Reazioni diverse.
Marta è parmigiana, ha 34 anni. “Sa quanti controlli ho fatto? Ma sembra sia tutto a posto, nasce tra tre mesi. Maschietto”. Sorride. “Ho fiducia nei medici, ho fiducia nel futuro. Certo, sono spaventata, ma sono un medico anch’io, faccio il pediatra, so che un errore in scienza può capitare. Ma è rarissimo”. Il compagno Ishack sta in disparte, intimorito dal taccuino. Sorride solo quanto Marta si tocca il pancione. “Speravamo fossero gemelli” – confida allontanandosi.
E arriva Anna, 23 anni di napoletanità: “Ho paura? Si. Ma da quando sono incinta ho paura di tutto. Ho avuto due aborti spontanei, prima avevo paura di non passare il terzo mese, poi del quanto. La morfologica? L’ho fatta, e si vede tutto, mia figlia sarà perfetta”.
Per due future mamme gioiose, una terrorizzata: “Si, partorisco a giorni. Ma ho quarant’anni, sono mesi che vivo nel terrore, tra malformazioni e problemi. Si figuri quando ho letto di quel povero bambino. La morfologica? L’ho fatta, come mille altri accertamenti. Ma saremo tranquilli quando saremo genitori”. Stringe la mano al marito, si guarda intorno.
Gioia, dolore, paura. Una ragazza marocchina avrà si e no diciotto anni. Si aggira con la madre. Ma non vuole parlare.
Come i medici, che fuggono alla parola stampa. Sono una casta, nessuno vuole parlare male di un collega. Dopo una lunga ricerca un uomo sulla 50ina accetta di parlare. Lo chiameremo Dottor House, il severissimo accordo è niente nome, ne foto.
E’ un ginecologo, ovviamente.
Cosa pensa del caso “Bryan”?
“Che sia una tragedia. Ma che non fosse prevedibile. Conosco il collega che seguiva la signora, è un medico scrupoloso con una carriera lunghissima alle spalle. La morfologica non sempre fa vedere tutto il corpo del feto, e se una paziente, come nel caso della signora, è obesa, è ancora più complesso. Ma se i parametri di circonferenza cranica e addominale, degli organi e le lunghezze di femore e omero non è facile predire malformazioni”.
Non è facile o è impossibile?
“La medicina è una scienza, rasenta l’esattezza ma ammette una percentuale d’errore. Non siamo robot, ma ripeto, se la paziente tarda leggermente ad a effettuarla, o se è sovrappeso, o se il feto è girato in modi anomali, è possibile non vedere l’interezza del corpo. Ma non significa che sia malformato”.
Le è mai capitato un errore analogo?
“No. Mi perdoni (fa uno scongiuro). E sono 25 anni che faccio nascere bambini. Ne ho visti con la sindrome di Down, o malformati, ma le famiglie lo sapevano”.
Forse la famiglia di Bryan se lo avesse saputo…
“La legge non consente di abortire al quinto mese di gravidanza solo perché il feto non ha i piedi, sia chiaro. Passato il terzo mese per interrompere la gravidanza deve essere a rischio in qualche modo la vita della madre, o la sua saluta fisica e psichica. A lei chi dice che le sarebbe stato concesso l’aborto?”.
Lo suppongo.
“Questo lo suppone lei”.
Lei cosa farebbe ora se fosse al posto del suo collega?
“Nulla, mi struggerei. Ma se sapessi di aver agito per scienza e coscienza, non avrei rimpianti. Se la morfologica, come mi risulta, non mostrava menomazioni, e gli altri esami erano regolari…siamo medici, non indovini”.
Lo ha sentito?
“Lo conosco, non è il mio migliore amico. E in un momento così non saprei cosa dire. Lei ha idea di cosa significhi per un medico un errore? Se sbaglia un cardiochirurgo, cercando di salvare un paziente potrebbe ucciderlo. Se sbaglia un ginecologo…. E i nostri sbagli voi li mettete in prima pagina”.
A volte ci finiscono anche i nostri. Ma taccio. E mi congedo. Mi avvicina un’infermiera della nursery: “Posso dirle una cosa? Bryan è un bambino. Ed è bellissimo. E’ una vita, e una vita non è mai un problema. E’ una vita, e voi ne parlate come fosse solo merce da inchiostro”.
Anche questa è una notizia. E una lezione da imparare. A volte nelle nostre prime pagine dimentichiamo le persone, coi loro piccoli e grandi drammi.