In un periodo in cui l’emergenza migratoria ed il dramma dei civili coinvolti nelle guerre è di drammatica attualità, il Giorno del Ricordo assume particolare rilievo, poiché verrebbe innanzitutto da dire che l’oblio che ha riguardato la complessa vicenda del confine orientale è ancor più disdicevole se confrontato con il clamore mediatico che accompagna gli analoghi fenomeni odierni, ma in seconda battuta è opportuno evidenziare alcune differenze. A partire da quanto riconosciuto pochi giorni or sono dal prof. Roberto Spazzali, direttore dell’Istituto regionale per la storia del Movimento di Liberazione Nazionale nel Friuli Venezia Giulia, il quale durante un incontro preparatorio al Giorno del Ricordo in provincia di Ferrara ha ben evidenziato come i profughi odierni siano soprattutto giovani di belle speranze che abbandonano la loro terra e le loro famiglie senza neanche tentare di dar vita a movimenti di resistenza o di opposizione, inseguendo magari il miraggio del benessere economico.
Il 90% della comunità italiana dell’Adriatico orientale che abbandonò le terre in cui era radicata da secoli, invece, cercò fin dalle battute conclusive della Seconda Guerra Mondiale di dar vita ad un movimento resistenziale radicato nel territorio e capace di coniugare italianità, democrazia e libertà. La fine del Capitano dei Carabinieri di Pola Filippo Casini, la morte dei partigiani triestini vittima di “delazione slava”, l’annientamento dei distaccamenti partigiani italiani dell’Istria mandati allo sbaraglio o fatti cadere in imboscate dai comandi croati, la distruzione del Comitato di Liberazione Nazionale dell’Istria ad opera dell’OZNA, la risposta negativa di Palmiro Togliatti alla richiesta dei comunisti istriani di poter imbracciare nuovamente le armi per contrapporsi all’occupazione straniera, ben camuffata sotto le bandiere rosse dell’esercito di Tito: molteplici sono gli esempi che dimostrano la reiterata opposizione all’espansionismo jugoslavo nella Venezia Giulia prima della terribile scelta dell’esodo.
Ma ciò che contraddistingue l’esperienza che il Giorno del Ricordo vuol commemorare, è stata la successiva dignità con la quale gli esuli giuliano-dalmati affrontarono l’Esodo. Tantissime sono state le pagine tristi che hanno contraddistinto l’accoglienza ed il reinserimento dei nostri connazionali nel tessuto sociale italiano: i fischi e gli insulti ricevuti dai polesani nei porti di Ancona e di Venezia, l’umiliazione di venire condotti nei Centri di Raccolta Profughi a bordo di carri bestiame, il “treno della vergogna” che non poté sostare a Bologna sotto minaccia di uno sciopero dei ferrovieri della CGIL e la sistemazione per lunghi anni in CRP caratterizzati da condizioni igienico-sanitarie terrificanti. E ancora i comizi nei quali gli esuli venivano additati al pubblico ludibrio con espressioni come “in Sicilia hanno il bandito Giuliano, noi abbiamo i banditi giuliani”, la disposizione del Ministro dell’Interno Scelba che imponeva di prendere le impronte digitali ai profughi, Marinella Filippaz che a dodici mesi di età morì di freddo nel campo profughi di Padriciano nel gelido inverno 1956 oppure le decine di persone che, sradicate e sbattute in condizioni precarie a Trieste, impazzirono e sono oggi al centro della narrazione di Gloria Nemec nel volume “Dopo venuti a Trieste. Storie di esuli giuliano-dalmati attraverso un manicomio di confine 1945-1970”. Il tutto mentre lo Stato italiano, contravvenendo a quanto stabilito dal Trattato di Pace, saldava parte delle riparazioni di guerra dovute alla Jugoslavia utilizzando i beni abbandonati, i cui legittimi proprietari ancora attendono un equo indennizzo.
Di fronte a così tante ingiustizie e situazioni incresciose, i 350.000 esuli hanno sopportato in silenzio, constatando come all’opinione pubblica per quasi mezzo secolo poco o nulla interessasse dei propri drammi e delle tragedie vissute in prima persona nelle terre dolorosamente lasciate. Con estrema dignità la comunità dell’esodo si è fatta carico anche di conservare questa storia e di trasmetterla alle nuove generazioni ed ai pochi che si erano accostati alla propria sofferenza, inserendosi contestualmente nella società italiana o del Paese straniero che li aveva accolti, lavorando onestamente, fino a raggiungere in alcuni casi anche livelli di eccellenza, e senza lasciarsi andare ad azioni criminali dettate dalla disperazione.
Ecco perché quest’anno il Giorno del Ricordo assume un particolare significato: l’emergenza umanitaria odierna rappresenta un punto di partenza per ricordare una similare pagina di storia dimenticata, strumentalizzata e obliata che ha riguardato migliaia di nostri connazionali e non può restare chiusa soltanto nella memoria di chi l’ha vissuta in prima persona o in famiglia.
Cav. Renzo Codarin
Presidente Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia