Acquisiva tramite prestanome società solide e in poco tempo le portava al fallimento gabbando i creditori. Questa l’accusa nei confronti di un imprenditore finito in manette all’alba di mercoledì ad opera della Guardia di Finanza di Parma, impegnata per oltre un anno e mezzo nell’inchiesta coordinata dalla Procura della Repubblica. Si tratta di Antonio Moisè, 55 anni, calabrese d’origine ma da sempre a Parma. Sette le abitazioni perquisite da una decina di militari delle fiamme gialle nell’operazione che ha interessato sia la provincia di Parma, sia quella di Reggio Emilia. Nell’ambito dell’inchiesta sono state anche indagate a piede libero 6 persone, accusate di essere i prestanome dell’imprenditore, e sequestrato un patrimonio stimato in 3 milioni di euro. L’accusa per tutti è concorso in bancarotta fraudolenta distrattiva, documentale e patrimoniale, che prevede pene che vanno dai tre ai dieci anni di reclusione.
Gli accertamenti del Nucleo di Polizia Tributaria hanno svelato l’articolato sistema utilizzato dall’imprenditore, già noto alle forze dell’ordine per altri reati in materia fallimentare oltre che contro il patrimonio. Analizzanzo i bilanci di diverse società e la documentazione contabile e di gestione delle stesse e dopo aver ascoltato decine di operatori del settore edile che hanno avuto contatti con l’azienda fallita e i dipendenti della stessa, i finanzieri parmigiani sono riusciti a ricostruire i vari passaggi. Ma la vera svolta per l’inchiesta è arrivata dalle intercettazioni telefoniche sulle utenze degli indagati.
L’imprenditore arrestato e rinchiuso nel carcere di via Burla agiva con varie modalità fra cui quella di procedere all’espoliazione patrimoniale della società acquisita, mediante l’appropriazione di somme di denaro, attrezzature, beni mobili ed immobili nonché simulando finte vendite di appartamenti e terreni edificabili a controparti consenzienti; tra queste ultime, la propria convivente di origine sudamericana, la quale, pur avendo una posizione reddituale insignificante, è risultata parte acquirente di ben 4 appartamenti.
Nell’ambito dell’operazione la Guardia di Finanza di Parma ha anche eseguito, contestualmente, specifiche indagini patrimoniali e finanziarie, seguendo i flussi e le “tracce” del denaro, allo scopo di ricostruire l’ammontare dei proventi accumulati, nel tempo, dagli indagati: il tutto allo scopo di ristorare le imprese creditrici danneggiate dal fallimento fraudolento della società. Gli esiti e gli elementi raccolti hanno permesso al giudice delle indagini preliminari di Parma, su richiesta dell’accusa, di emettere, oltre all’ordinanza di custodia in carcere per Antonio Moisè, anche un provvedimento di sequestro dell’intero patrimonio individuato tra gli indagati, stimato in circa 3 milioni di euro e consistente in 4 appartamenti, 2 box auto ed un terreno edificabile, tutti in zona San Prospero.
Il soggetto arrestato non era nuovo a simili illeciti: è stato infatti riscontrato che, in passato, aveva analogamente “svuotato” altre aziende del territorio parmense e, attualmente, era intenzionato a procedere nei confronti di un’ulteriore società. Le sei persone, di cui l’imprenditore si era avvalso in qualità di “prestanome” al finedi evitare responsabilità penali, sono indagate a piede libero. Tutti gli indagati dovranno ora rispondere dei reati di concorso in bancarotta fraudolenta distrattiva, documentale e patrimoniale.
Fenomeni illeciti e gravi simili all’operazione appena conclusa, minano il tessuto economico sano della provincia di Parma in quanto alterano le regole di funzionamento del libero mercato e la leale concorrenza dei vari settori economici. Prevenire e reprimere l’”inquinamento” dell’economia legale rimane uno dei prioritari obiettivi dell’attività della Guardia di Finanza: nel caso di specie, significa anche restituire quanto dovuto agli imprenditori onesti che sono stati truffati dalla società fallita.