Mafia in Emilia Romagna, ultima relazione Dia: ‘Corruzione sistemica’

Mafia in Emilia Romagna, ultima relazione Dia: ‘Corruzione sistemica’

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«L’emergenza economica e finanziaria determinata dalla pandemia non ha risparmiato nemmeno un territorio florido come quello emiliano-romagnolo, ove il rischio di infiltrazione criminale è concreto». Lo scrive la Direzione investigativa antimafia, nella sua ultima relazione semestrale, nel capitolo dove approfondisce le proiezioni della criminalità organizzata in Emilia-Romagna.

La crisi è, da sempre, un richiamo per le mafie: «Piccole e medie imprese a prezzi di saldo – segnala la Dia – potrebbero diventare un potenziale “affare” per la criminalità organizzata, sempre pronta ad approfittare della crisi economico-finanziaria, speculando sulle inevitabili difficoltà che hanno colpito moltissimi imprenditori. Dalla ristorazione, al comparto alberghiero e alle piccole ditte commerciali, si presenta il concreto rischio che, per far fronte a spese di gestione ordinarie, pur in assenza di ricavi, molte attività vengano svendute alle associazioni malavitose».

Nel descrivere l’infiltrazione in regione la Dia parla di un «approccio marcatamente imprenditoriale» che contempla «l’inquinamento del tessuto economico-produttivo e di quello politico-amministrativo». Tra i gruppi attivi, elencati nell’ultima relazione semestrale, si evidenzia la ‘Ndrangheta, «sempre pronta a consolidare quel “sistema integrato” tra imprese, appalti e affari, che costituisce l’humus sul quale avviare attività di riciclaggio e di reinvestimento delle risorse illecitamente acquisite».

A riguardo, indagini, come “Aemilia” hanno documentato la pervasività della cosca cutrese Grande Aracri nelle province di Bologna, Reggio Emilia, Modena, Parma e Piacenza. Conclamata è anche la presenza di «qualificate proiezioni delle cosche reggine» (Bellocco, Iamonte, Mazzaferro), vibonesi (Mancuso), crotonesi (Farao-Marincola). Anche Cosa Nostra ha sviluppato attività criminali legate al riciclaggio di denaro e al traffico di stupefacenti: stata registrata l’operatività di soggetti riferibili a cosche del palermitano, catanese e gelese, rispettivamente dei Corleonesi, dei Santapaola e dei Rinzivillo. Per la Camorra, è accertata la presenza di imprese ritenute «inquinate» dal sistema e riconducibili, in particolare, al clan dei Casalesi, tra Bologna, Reggio Emilia, Modena, Ferrara, Ravenna e Rimini. Ma non sono mancati anche riscontri su personaggi riferibili ad altri sodalizi: gli stabiesi D’Alessandro, i napoletani Vallefuoco, i Contini del quartiere Vasto di Napoli, la famiglia Nuvoletta di Marano di Napoli, i Puca di S. Antimo, i Mallardo di Giugliano in Campania e i Belforte di Marcianise. Per le mafie pugliesi è stata recentemente riscontrata l’operatività di affiliati al clan cerignolano Piarulli-Ferraro.

Si evidenziano infine organizzazioni straniere, ad esempio nigeriane, in grado di gestire il traffico di droga a livello internazionale e di altri gruppi ‘interetnicì, talvolta partecipati da pregiudicati italiani, meno strutturati, ma particolarmente operativi, che hanno assunto, in aree pur limitate del territorio regionale, il controllo dello spaccio, dello sfruttamento della prostituzione, contraffazione di capi di abbigliamento e altro in particolare, nella costa romagnola.

 

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