L’idea di una Comunità Europea che allargasse i suoi confini e che permettesse la libera circolazione di mezzi, merci e persone è cominciata 25 anni fa, ma solo recentemente si è parlato con maggiore insistenza della previdenza integrativa. Questo passaggio è accaduto a causa della conclamata crisi delle forme di previdenza classica che gli Stati mettono a disposizione dei cittadini. Tale sistema è stato però reso poco funzionale sia dall’aumento dell’aspettativa di vita che da una serie di fattori legati alla stabilità dell’economia dei vari Stati.
Per ovviare all’esiguità degli assegni previdenziali, sempre più lavoratori hanno valutato opzioni che andassero ad integrare una somma considerata non sufficiente per soddisfare i bisogni delle famiglie. Di qui è nato il boom della pensione integrativa.
L’ultimo prodotto in tal senso sono i Pepp – acronimo inglese di Prodotti Pensionistici Individuali Paneuropei, il cui modello è stato presentato dalla Commissione Europea e attendono approvazione da parte del Consiglio e del Parlamento europeo. Il nuovo strumento non avrà in previsione l’armonizzazione dei sistemi già presenti in tutta Europa, ma consentirà di accomunare gli standard e di favorire la trasferibilità di conti e piani.
I nuovi Pepp non sostituiranno gli strumenti già presenti sui territori nazionali, ma si affiancheranno a quanto già esistentein quanto investimento volontario rivolto a studenti e lavoratori, sia dipendenti che autonomi. In Italia esiste un prodotto che si avvicina in maniera sostanziale al Pepp, ossia iPip – Piano individuale Pensionistico, ma il quadro italiano non ha sinora consentito un’efficacia di aderenza dei risparmiatori. Si tratta di strumenti che la regolamentazione ha destinato a tutti i lavoratori e che siano in grado di integrare la previdenza sociale. Sono veri e propri piani di accumulo capitale che attraverso un versamento volontario mensile consente di raggiungere somme che saranno poi utili una volta raggiunta l’età pensionabile. Quanto maturato potrà poi essere distribuito con una quota mensile o con un accreditamento una tantum che non può superare il 50% di quanto accumulato. Tra i vantaggi valutati positivamente dall’utenza anche una deducibilità fiscale e la possibilità di personalizzazione del versamento. Nonostante i buoni numeri fatti registrare nel corso dell’ultimo anno, però, la raccolta dei PIP non è equiparabile a quella dell’intera area euro.
L’investitore paga ancora una mancanza di fiducia nei confronti dei mercati e lamenta contestualmente una scarsa personalizzazione dei servizi e poca trasparenza in materia di costi, considerati ancora troppo alti se confrontati con il servizio proposto.
La diversità tra il mercato italiano e quello europeo è testimoniata dai numeri. 27 cittadini su 100 in Europa hanno una pensione integrativa involontaria, mentre sono 72 gli strumenti finanziari usati. Tali prodotti hanno vari asset di investimento in tutta Europa, ma se in Danimarca il valore registrato è il doppio del Prodotto Interno Lordo, in Italia, invece, l’investimento si attesta intorno al 9,4% del PIL. Secondo una ricerca di Enst & Young, però, i Pepp potrebbero migliorare decisamente gli asset, arrivando a pesare fino a 2.100 miliardi di euro in tutta Europa. Da questo punto di vista, l’Italia ha tanto terreno da recuperare e potrebbe essere un ottimo campo di prova per i più importanti player nazionali ed internazionali.