Il Natale è il gran dono di Dio. E’ Dio che si fa uomo per noi. È avvenuto e Gesù ha visto la luce a Betlemme, verrà alla fine dei tempi nella sua gloria, verrà alla fine del nostro tempo quando lo vedremo faccia a faccia e viene nei nostri tempi. Cioè ogni giorno. Nelle persone che incontriamo, negli eventi, nella sua Parola e nella pienezza dell’Eucaristia. Nella comunità vissuta della Chiesa.
Natale è un passo essenziale dell’amicizia con Dio che ci accompagna ogni momento, resta fedele sempre mentre la vita cresce, scivola, sale e dal cumulo degli anni l’orizzonte si allarga. Il Natale si incarna nella nostra vita, ci porta l’opportunità di una pace profonda nella quale giudicare noi stessi e guardare il mondo che ha bisogno di questo dono. Cioè, l’amicizia di Dio che si fa uomo e mette la sua tenda tra di noi, la pace-speranza, la carità vera che si diffonde a cerchi concentrici verso tutti. Con lo stile del diventare piccoli, senza la pretesa di onnipotenza, lontani dal narcisismo che diventa dispotico. Scartando il Natale come se fosse un regalo, allora, vengono alla mente persone e fatti di oggi e di ieri, che si richiamano con risonanze ancora feconde di profezie e di opportunità per l’oggi.
Non è infatti finito il grido di aiuto e le situazioni di bisogno sono ancora tante. Non possono essere nascoste da luci abbacinanti o da soluzioni alienanti. “Almeno per un’ora non pensiamo a niente…”, anche se quell’ora costa quanto servirebbe a rendere contente tante persone, facendo semplicemente una scelta meno dispendiosa e più responsabile. Mi viene in mente la proposta di Raoul Follereau ai capi dell’Unione Sovietica e degli Stati Uniti d’America: cedere il corrispettivo di un caccia bombardiere per risolvere, una volta per tutte, il dramma della lebbra. Proposta rifiutata.
Mi piace, poi, pensare che anche con i pochi euro di un resto o con l’attenzione di una scelta più temperata, possiamo fare contento qualcuno che è in difficoltà e che, in tal modo, per Natale, per capodanno, per l’epifania può permettersi qualcosa di diverso. Una piccola cosa forse, ma che ha il profumo di una carezza di carità che qualcuno, ha pensato per lui, per la sua famiglia.
Potrebbe ridursi ad un ulteriore tocco di buonismo se resta alla superficie, mentre invece può rappresentare una raffinata premura, maturata in una coscienza che si apre a cose nuove e già porta frutti. Un passaggio personale, ma anche deciso in famiglia, nel gruppo, nella comunità cristiana, come in un condominio o in ufficio, in una fabbrica. Perché il Natale è sociale ed universale.
Mi convinco che questi frutti fossero già abbondanti nel modo di vivere della nostra gente e che sono ancora attesi e ricercati per l’oggi. Cercarli nella nostra storia non è nostalgia, ma rintracciare una fedeltà all’umano che può rinnovarsi con creatività. È la sorpresa antica e nuova di Natale: il Verbo di Dio che si fa uomo lo rende capace di amare, di superarsi con soluzioni belle, di non guardare solo sé stesso, come in uno specchio, ma di girare lo sguardo sull’altro, sentendolo indispensabile per la sua stessa vita e per formare la comunità umana. Allora: Buon Natale, sereno e fecondo 2018.
Vescovo don Enrico Solmi