Niente da fare, il gruppo Froneri – per il 50% proprietà di Nestlè – non cambia idea: Parma chiude punto e basta. Confermata la procedura di licenziamento avviata il 29 settembre per i 120 dipendenti, che determinerà anche la mancata occupazione di un’ottantina di stagionali. Dallo stabilimento parmigiano non usciranno più gelati, non si produrrà neppure un cornetto, ma resteranno attivi gli uffici (fino a quando?). Perché fa comodo dire che la sede legale è a Parma, nome che vuol dire molto sul mercato del food.
Questa la comunicazione irremovibile arrivata oggi al tavolo di salvaguardia occupazionale attivato al Ministero dello Sviluppo Economico, al quale erano presenti anche il sindaco Federico Pizzarotti, i sindacati di categoria, l’assessore regionale alle Attività produttive Palma Costi, e la viceministro Teresa Bellanova, insieme al dirigente Gianpiero Castano. Un muro contro muro che non lascia trasparire nulla di positivo, ma a volte si possono anche aprire delle crepe. Perché Froneri di interessi in Italia ne ha… Così sia il Ministero dello Sviluppo economico che la Regione Emilia Romagna e il Comune di Parma hanno sollecitato le parti a proseguire il confronto, invitando ancora una volta la proprietà a far ricorso agli ammortizzatori sociali per lasciare aperta una porta sul prossimo futuro.
“Per noi il sito produttivo Froneri – dicono l’assessore regionale Palma Costi e il sindaco Federico Pizzarotti – sono lo stabile, gli impianti e soprattutto le professionalità dei lavoratori. Perciò ricorrere agli ammortizzatori sociali significa utilizzare strumenti di accompagnamento verso una reindustrializzazione che rappresenti, anche nella difficilissima situazione attuale, una possibile prospettiva futura. Abbiamo ribadito all’azienda di rivedere la decisione di chiudere lo stabilimento produttivo di Parma. Chiusura per noi inaccettabile, che oltre a determinare la perdita di un numero rilevante di posti di lavoro priverebbe il territorio e il tessuto produttivo di una presenza importante per il settore dell’agroalimentare, con ripercussioni pesanti nell’indotto e nella filiera della food valley dell’Emilia-Romagna”.