I dati diffusi dal centro studi della Cgia di Mestre, l’occhio che monitora l’andamento italiano d’impresa, sono impietosi. Una vera e propria emorragia, che dal 2009 in Emilia-Romagna si attesta al numero, da carneficina, di 16.466 imprese cessate, ovvero l’11.3% del totale. Chiudono autotrasportatori, mobilifici, falegnami, ditte di costruzione edile, vaporizzano imprese familiari, tradizioni d’impresa, lasciando sul loro cammino capannoni vuoti e fatiscenti lungo l’asse della Via Emilia. Certo, il 2009 è stato l’anno della grande crisi, eppure il tanto acclamato “modello emiliano”, non regge, portando la nostra regione solo decima in classifica. La Lombardia, per fare un paragone, ha perso “solo” il 7% delle proprie imprese. I dati pubblicati dall’associazione Artigiani e Piccole Imprese Mestre sono crudi e impietosi: di 145mila imprese oggi ne sopravvivono solo 128mila, strozzate da burocrazia, caro affitti, tasse e stretta del credito da una parte, costrette alla competenza brutale dei centri commerciali dall’altra, che possono permettersi di fare politiche commerciali molto più aggressive, sia per dimensionamento delle strutture che per capacità di assorbire perdite al fine di sfiancare la concorrenza.
Di questi giorni la dichiarazione del presidente di Confedilizia Parma, Mario del Chicca, che commentando i dati della Cgia evidenzia come lo stesso centro studi stimi i danni economici derivanti dal cattivo funzionamento della Pubblica Amministrazione superiori all’evasione fiscale, stimata oggi attorno ai 110 miliardi di euro l’anno, con un debito pubblico in crescita costante, figlio della strategia renziana delle mance elettorali che in una congiuntura favorevole con prezzo del petrolio molto basso, economia mondiale in crescita e tassi di interesse bassi come mai prima d’ora, ci regala un Paese con un debito al 132% del PIL.
In questo scenario, con piccoli imprenditori taglieggiati dallo Stato prima e indicati come evasori da un certo tipo di propaganda politica che campa sui voti delle lotte fratricide, troneggia il nuovo documento di indirizzi che servirà al presidente Bonaccini per richiedere più autonomia rispetto allo Stato, ovvero l’attuazione dell’art 116 della Costituzione; documento in cui si teorizzano, tra le varie proposte, anche linee di indirizzo per il rilancio delle imprese, mentre queste muoiono. Lassù, nelle stanze dei bottoni, forse la crisi non è mai arrivata.
Caterina Galli
Coordinatrice Provinciale Fare con Tosi