Oggi alla fermata dell’autobus, in piazza Ghiaia, un signore anziano si è fidato di me, una perfetta sconosciuta, da raccontarmi un triste episodio della sua vità. Si è fidato di me. Ha cercato la mia comprensione. Quando qualcuno ti racconta qualcosa di triste non lo sta facendo per scaricarti la sua sofferenza come persone di scarsa empatia e sensibilità potrebbero pensare.
Una lontana parente della sua defunta moglie, una giovane ragazza di solo 29 anni, due mesi fa ha tentato il suicidio gettandosi dal quinto piano di un palazzo in centro città. Qualcuno mi ha detto che i giornali non possono scrivere di suicidi. Oggi vorrei farlo io con una mia riflessione e con tanto dolore nel cuore. Una bella ragazza con un lavoro normale, orfana di madre e di padre, molto sola con dei lontani e freddi parenti. Solo un sogno nel cassetto. Il lavoro che viene lasciato per cercare di coronare una passione ma che si scontra con le dure realtà dell’ennesima porta chiusa in faccia e di una fortuna ancora avversa. Sola, senza nessuno fra l’egoismo di lontani parenti.
Molti giudicheranno ma pochi capiranno cosa abbia potuto provare, come si sia sentita per pensare ad un gesto estremo. Indifferenza, disperazione. La sorte l’ha punita ancora. Le ha negato la desiderata morte. Ora in un letto d’ospedale, gambe amputate, un tronco attaccato a dei fili. Il lontano parente (neanche parente diretto), messo anche lui male di salute, mi ha confidato che nessun altro parente va a trovare questa ragazza. Accanto a lei solo qualche amica. Ed io qui con tanto dolore e tanta rabbia contro chi ha visto e ha finto di non vedere. Signor Direttore io vedo solo dei colpevoli: l’indifferenza, l’egoismo e la povertà interiore di chi doveva esserle più vicino e non lo è stato. Di coloro che si nascondono dietro un eccessivo egoismo nel difendere i loro problemi quando di problemi honno solo quello di doversi accontentare della vacanza al mare in Italia invece che all’estero. Colpevoli quando rifiutano di dare calore e affetto perché troppo impegnati in feste e ritrovi sociali quando c’era qualcuno che aveva bisogno di una carezza, di un po’ affetto, di un semplice: “noi ci siamo”, “vieni con noi” e un’implicita rinuncia per amore.
Signor direttore io oggi non le scrivo solo perchè sono addolorata di questa triste storia. Vorrei fare qualcosa per questa ragazza. Ho poco tempo libero ma potrei andare in ospedale a trovarla. Potrei comprarle dei pigiami, della biancheria. Potrei cucinarle se avesse bisogno. Non m’impoverirei di certo per questo… anzi… sarebbe la mia ricchezza. Ma non so dove sia in ospedale. Se qualcuno attraverso il mio racconto sa di lei chiedo la cortesia di farmi sapere magari anche attraverso la redazione. Grazie mille.
Lettera firmata