Una mamma: bimbi vivaci non sono maleducati, basta etichette a scuola e...

Una mamma: bimbi vivaci non sono maleducati, basta etichette a scuola e in società

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Questa mattina alla fermata dell’autobus, in piazza Ghiaia, ho assistito ad una lite furibonda fra una giovane mamma in compagnia del suo bambino e due signore sulla sessantina. Il bambino, in attesa dell’ autobus, si era seduto sulla panchina. La madre, in piedi accanto a lui, guardava gli autobus che arrivavano.

Il bimbo iniziò a dondolare le gambe, abitudine tipica di molti bimbi soprattutto quelli vivaci. Una delle signore è stata involontariamente urtata. Prima che la mamma si accorgesse, la sessantenne ha iniziato ad urlare che il bimbo le aveva dato un violento calcio e che era un grande maleducato rinfacciandogli che non le aveva lasciato neanche il posto. La mamma del bimbo è intervenuta facendo presente che il piccolo non l’aveva fatto di proposito ma anche lei è stata accusata di maleducazione. Inizia la discussione fra le tre.

Io che ho assistito alla scena di maleducato ho trovato solo l’esagerata reazione della signora sessantenne nel trasformare un innocente urto in un violento e doloroso calcio. La scena non mi è passata indifferente perché anch’io sono un genitore. Il genitore di una bambina vivace. Il confine fra bambino vivace e maleducato è sottile e pochi lo comprendono. Parlo di quei bambini svegli, pieni di euforia e entusiasmo, che lasciandosi guidare solo dall’istinto vengono, spesso, additati come maleducati. La loro naturalezza è molto più forte di qualsiasi spiegazione. Passano sempre dalla parte del torto e con loro, purtroppo, anche noi genitori che agli occhi di molti saremo sempre quelli che non sanno educare i propri figli. Ma siamo anche i genitori che fra le mura domestiche, perdiamo ore e ore a spiegare ai nostri figli le regole, leggiamo libri di pedagogia, in rete ci confrontiamo con altri genitori e spesso entriamo in crisi.

Io non voglio difendere tutta la categoria dei genitori dei bambini definiti “vivaci” e/o “maleducati” perché è troppo vasta per essere generalizzata. Vorrei solo capire come vivono i bambini queste “etichette”.

Ricordo la mia prima elementare. Quella fase dell’infanzia in cui il bambino deve interiorizzare il passaggio dall’età del gioco a quello dello studio e delle regole scolastiche. Per un bambino vivace il passaggio sarà più difficile perché è un’anima più complessa. Una maestra empatica e sensibile lo comprenderà perché conosce l’importanza d’educare anche un cuore. Ma ci saranno molti adulti, molti genitori che faranno del bambino “vivace” il capro espiatorio di tutti i mali presenti e futuri della scuola e della società.

A me piaceva andare a scuola. Volevo capire gli altri e esplorare il loro ambiente. Mi alzavo spesso dal banco, chiacchieravo mentre la maestra spiegava e prendevo gli oggetti dei compagni di classe. La mia innocente curiosità veniva, quasi sempre, interrotta dalle lamentele degli altri bambini, dai genitori che intervenivano in difesa dei propri figli, dai rimproveri della maestra e dagli sculacciate dei miei genitori. Molto presto tutti iniziarono a etichettarmi come bambina  “maleducata”. Avevo solo sei anni. Gli altri bambini m’incolpavano, anche, per cose che non facevo e la maestra non mi difendeva mai perché era troppo condizionata dai genitori degli altri. Lei usava dare caramelle e premi ai più buoni (che erano sempre gli stessi…..per lei).

A me e ad altri cinque, ormai classificati come futuri delinquenti sociali, bacchettate, rimproveri e punizioni continue. I metodi scolastici basati sulle premiazioni dei più meritevoli sono necessari perché educano all’impegno e alla vita. Non se ne può far a meno ma sono metodi subdoli perché mentre educano dividono creando da un lato individui che inizieranno ad arrogarsi la presunzione d’essere migliori, superiori e dall’altro bambini frustrati, con complessi d’inferiorità che per non riuscire a farcela come reazione continueranno a perpetuare in comportamenti riprovevoli. Come accadde a me.

Iniziai ad indispettirmi e a fare dispetti che sapevo di non dover fare come quando tirai, di proposito, all’alunna preferita dalla maestra, la sedia mentre si stava per sedere, facendola cadere.  Dietro quei miei gesti non c’era altro che il mio disagio interiore per non riuscire ad essere anch’io “brava” come lo erano agli occhi degli altri mia sorella e molti compagni di scuola. I genitori degli altri puntualmente intervenivano in difesa dei loro figli che avevano subito il torto di una matita nascosta in un altro astuccio o di un angolo di quaderno stropicciato. Mi sembrava che a tutti importasse di come si sentivano gli altri  ma a nessuno importava di me e di quelli come me.

Se da un lato soffrivo dall’altro mi stavo allenando ad affrontare le future difficoltà della vita. Un bambino vivace spesso dietro la sua irrequietezza, che per comodità esemplificative dell’adulto viene chiamata “maleducazione”,  nasconde semplicemente un bisogno di comprensione e di amore. I miei genitori facevano di tutto per spiegarmi le comuni regole di convivenza sociale. Erano anche molti severi soprattutto mio padre. Avevo una sorella che era il contrario di me eppure figlie della stessa educazione. Il medesimo insegnamento può essere recepito in maniera differente da due sensibilità diverse. Io avevo bisogno di farmi capire, ascoltare e cercavo un modo per farlo ma sbagliavo comportamento. Un giorno venni messa in punizione con un altro bambino. Il piccolo mi disse:  “Noi siamo i bambini maleducati e quindi possiamo stare insieme”. Io sapevo che lui non lo era.

E’ stato in quel momento che capii che un bambino di sei anni non può mai essere maleducato o cattivo. C’è un insano bisogno  d’attaccare, incolpare, etichettare tutto ciò  che ci da fastidio, che ci irrita e che non sappiamo gestire perché diciamoci la verità un bambino vivace irrita e diventa scomodo per un adulto. Un bambino è un animo umano, in continua maturazione, chi matura prima chi dopo.  Un bambino ha un cuore. Le etichette che gli altri ci danno finiscono per farci identificare in qualcuno che non siamo ed io mi ero identificata nella bambina “monella”.

Un giorno, forse di un periodo in cui io stavo maturando, la mia maestra ottenne il trasferimento che aspettava da tempo. Arrivò una sostituta in classe. Era uno di quei giorni che ero tranquilla e per mia fortuna….gli altri meno di me. Lei non sapeva che ero una delle bambine più vivaci. Riuscii a fare i compiti bene non alzandomi mai dal banco. La maestra mi fece dei complimenti, iniziò a guardarmi e a trattarmi come una bambina modello. I giorni seguenti avevo il terrore di deluderla. Lei era la prima che mi aveva dato fiducia. Mi piaceva tanto come mi guardava e trattava. Aveva amore per me e non pregiudizi.

E’ da allora che ho iniziato a rispettare le regole e a impegnarmi per avere sempre buoni voti. Sono passati trentasette anni da allora ma non ho mai dimenticato e forse neanche superato il trauma di quei genitori che in gruppo venivano a lamentarsi di noi bambini, di solo sei anni, accusati e condannati. Genitori con scarsa empatia e con un irragionevole bisogno di sentirsi migliori sfogando le proprie paure e frustrazioni su di noi bambini vivaci ma innocui. Gli animi sensibili non dimenticano mai la superficialità di giudizio. La vera sensibilità spesso si nasconde dietro gli animi più turbolenti e irrequieti.

Nessuno dei cinque bambini, etichettati come “maleducati” nella mia classe delle elementari è diventato un delinquente, un bullo, un drogato o simili come volevano farci credere. Siamo diventate tutte brave persone responsabili, con famiglie e alcuni si sono laureati ma troppe insicure delle nostre potenzialità e di risorse ne avevamo.

Non bisogna mai tagliare le ali alle aquile ma insegnar  loro a volare.

Maria C.

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