Una fine terribile alla quale si è opposta con tutte le sue forze. Ma contro quella montagna di muscoli, Arianna Rivara nulla ha potuto. E alla fine ha dovuto cedere. Con una mano stretta attorno al collo e l’altra sulla bocca forse anche per impedirle di gridare, la sfortunata 43enne ben presto ha perso i sensi ed è morta per asfissia.
Ma prima dell’ultimo respiro, ha lottato come ha potuto: graffi, calci, pugni, urla disperate. Niente da fare. Paolo Cocconi, 50 anni, il compagno che voleva lasciare e al quale aveva concesso quell’ultima serata per un chiarimento, aveva sul volto i graffi e sul corpo i segni di quei colpi sferrati dalla donna con tutta l’energia che in quel momento aveva dentro. Sopraffatta e soffocata dall’uomo, appassionato di bodybuilding e dal fisico scolpito, Arianna è spirata. Subito dopo Cocconi per togliersi la vita ha ingerito una quantità di psicofarmaci che teneva in casa per curarsi dalla depressione e il cocktail gli è stato fatale. Ma per aver indicazioni più precise in merito, si attendono adesso gli esiti degli esami tossicologici per i quali ci vorrà qualche mese.
Sono questi i principali risultati dell’autopsia eseguita sulle salme all’Istituto di medicina legale dal consulente nominato dal pm Paola Dal Monte. E confermano l’ipotesi della prima ora, cioè l’omicidio-suicidio che nella notte fra il 26 e il 27 gennaio ha sconvolto via Gibertini e non solo. Adesso dalla Procura dovrebbe arrivare il nulla osta per la celebrazione dei funerali, l’ultimo atto per due famiglie straziate dal dolore.
La storia fra Arianna e Paolo, entrambi con un buon lavoro in Barilla, si era conclusa a luglio. Da quel momento l’uomo aveva cercato in ogni modo di riconquistare la sua compagna, ma non sono bastate le lettere né il prezioso anello con diamante trovato nell’appartamento al terzo piano della palazzina di via Gibertini 6 a far cambiare idea alla 43enne. Un no che evidentemente Paolo Cocconi non è riuscito più ad ingoiare e che è sfociato in una mezz’ora di follia, finita con l’ennesimo femminicidio. Ma che questa volta, almeno per la giustizia, non ci sono colpevoli.