Il primo a cadere è stato Luca Manici, la Kelly, raggiunto da ben 18 coltellate delle quali due, al collo e al cuore, fatali. Subito dopo, con estrema freddezza, l’assassino ha preso il telefonino della vittima, titolare dell’Angelica Vip Club, locale a luci rosse e per scambisti di San Prospero, ed ha mandato un sms a Gabriela Altamirano: “C’è un cliente che ti aspetta”. Una trappola in piena regola – come racconta oggi anche Gazzetta di Parma – in cui la 45 enne è caduta senza sospettare nulla. Arrivata nel casolare di via Angelica, era ormai troppo tardi: la donna si è trovata davanti il suo assassino che, come in un rituale ben preciso, ha messo in atto il suo piano diabolico.
Prima ha affrontato Gabriela con una calza a rete stretta attorno al collo fin quando la donna ha perso i sensi, poi l’ha sdraiata sul letto e quindi l’ha trafitta con almeno 9 coltellate inferte tutte nel basso ventre. Ma né la calza, né il coltello sono risultati fatali per la Altamirano: la donna è morta lentamente, dissanguata. E quelle coltellate nelle parti intime forse volevano rappresentare la punizione per lei. Secondo le indagini, infatti, l’attività di prostituzione della donna sarebbe stata la vera fonte di guadagno per Samuele Turco, venuta meno quando a metà novembre Gabriela aveva deciso di lasciarlo in seguito alla diffusione, via social, delle sue foto intime a tutti i suoi conoscenti.
Una notte da incubo dopo la mezzanotte tra Natale e Santo Stefano, ricostruita con certosina pazienza dagli uomini della Squadra Mobile, diretta da Cosimo Romano, che hanno prima messo insieme tutti gli indizi utili e poi fatto crollare Alessio Turco, 20 anni, il figlio di Samuele, 42, che ha accompagnato gli agenti sul luogo in cui aveva nascosto il coltello usato per la mattanza. Il giovane lo aveva sepolto nel parco vicino alla casa del Montanara in cui viveva con la madre. Il computer che controllava la videosorveglianza del casolare di via Angelica, il tablet e i telefonini delle vittime, invece, erano stati nascosti in una legnaia vicina al “Miglio 76”, il ristorante di Cassio gestito da Samuele Turco. La location in cui quella stessa sera di Natale – poche ore prima del delitto – tutta la famiglia si era ritrovata per far festa. Chiusa la porta – come se le risate, lo scherzo, insomma la festa fosse la scena ben orchestrata di un film horror, sufficiente ad allontanare i sospetti – a bordo della Volvo V40 prestata da un conoscente assolutamente ignaro del piano diabolico del 42enne catanese, Turco ha raggiunto il casolare di via Angelica, teatro poi del massacro. La macchina di un conoscente, non la sua. Forse anche questo faceva parte del piano per sviare le indagini. Ma l’uomo non ha fatto i conti con il “naso” degli uomini della Mobile e con il sistema di videosorveglianza che ne ha immortalato il passaggio, smontando pure qualche bugia della prima ora.
Samuele Turco, ritenuto l’autore materiale del delitto, rinchiuso nel carcere di via Burla con l’accusa di omicidio plurimo premeditato ed aggravato dalla crudeltà, e il figlio Samuele, agli arresti nel carcere di Reggio Emilia, con l’accusa di concorso in omicidio plurimo premeditato, davanti al gip Maria Cristina Sarli per l’interrogatorio di garanzia, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Il giudice, su richiesta del sostituto procuratore Emanuela Podda che ha coordinato le indagini sul delitto, ha quindi convalidato l’arresto di padre e figlio avvenuto nella tarda serata di giovedì, disponendone la custodia cautelare in carcere. Ma i due, forse anche per scindere le responsabilità di uno e dell’altro, hanno anche due difensori diversi: Samuele Turco si è affidato a Laura Ferraboschi, mentre il figlio Alessio è rappresentato da Elisa Furia.
In effetti, un nodo ancora da sciogliere è proprio quello del ruolo avuto dal giovane Alessio, figlio della prima moglie di Samuele, catapultato a soli 20 anni in una questione ben più grande di lui. Il ragazzo – crollato durante l’interrogatorio – ha sempre sostenuto di non aver ucciso nessuno. E questo sembrerebbe abbastanza credibile. Ma essendo stato presente nel casolare dell’orrore proprio durante il duplice omicidio, quale sarebbe stato allora il suo ruolo? Sapeva prima di arrivare sul posto quali fossero le intenzioni del padre? E una volta dentro, cosa ha fatto? Ha visto il padre uccidere le sue vittime? Tutte domande alle quali bisogna dare una risposta prima di distruggere per sempre la vita di un ragazzo di 20 anni e di colpire così duramente la madre che lo ha cresciuto da sola e a fatica insieme alla sorella più giovane. Sembra, comunque, che Alessio abbia aiutato il padre a nascondere il cadavere della Kelly dietro il divano che si trovava sotto il portico, dove poi è stato rinvenuto. E di certo ha portato via e nascosto il coltello usato per commettere entrambi gli omicidi. Ma era pur sempre suo padre… al quale era molto legato. Avrebbe potuto fare diversamente? Sicuramente sì. Ma in quel contesto, si è reso davvero conto di quanto stava accadendo?
In attesa che l’inchiesta fornisca una risposta a questi interrogativi, c’è da registrare anche un ultimo tassello: Samuele Turco è stato trovato in possesso di una carta d’identità valida per l’espatrio, intestata ad un’altra persona che tre anni fa ne aveva denunciato lo smarrimento. Sul documento, però, compariva la sua foto e non quella del titolare che l’aveva smarrita. Come è finita nelle mani del 42enne? Ma soprattutto a cosa sarebbe dovuta servire? Forse nel piano di Turco senior era prevista anche la fuga all’estero? Non si sa. Ma pare che la carta d’identità sia stata artefatta proprio nell’ultima decina di giorni di dicembre. A cavallo con la data del delitto. Sarà pure una bazzecola rispetto al resto, ma Samuele Turco dovrà anche rispondere di “possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi”.