Anche quest’anno, come di consueto, il Centro Studi Ascom, nell’attesa di elaborare lo studio annuale sulle vendite e i saldi, ha realizzato una pre-indagine per monitorare la percezione dei consumi in questi giorni che precedono il Natale.
Le sensazioni emerse dal campione di aziende di Parma intervistato, evidenziano un andamento mediamente stabile rispetto all’anno passato: 47% è infatti la percentuale di aziende che hanno indicato un andamento simile rispetto allo stesso periodo del 2015, mentre il 40% ha dichiarato vendite in calo e il restante 13% ha rilevato vendite in aumento.
Scendendo nel dettaglio dei risultati, tengono i settori dell’alimentare e della ristorazione, crescono giocattoli, libri e cura della persona, in un quadro complessivo che sta cambiando e che vede la diminuzione del budget destinato ai regali parallelamente a un forte calo del potere d’acquisto del consumatore.
Cresce la propensione ad acquistare on line (+14% rispetto al 2013 a livello nazionale) e a consumare i propri pasti fuori casa. Al riguardo la Fipe, la Federazione dei pubblici esercizi aderente a Confcommercio, stima in 39 milioni gli italiani maggiorenni che consumano, più o meno abitualmente, cibo al di fuori delle mura domestiche (che sia colazione, pranzo, cena, spuntino o aperitivo). Tra questi, 13 milioni di persone consumano almeno 4-5 pasti fuori casa in una settimana. A conferma di ciò, ad aprile 2016, l’Istat assegnava ai servizi di ristorazione un peso pari all’8,9% della spesa totale, in salita rispetto al 2015 con un aumento concentrato soprattutto in Lombardia, Lazio, Emilia Romagna, Veneto e Piemonte.
In risposta ai cambiamenti del comportamento d’acquisto e di consumo, è mutato il volto della rete commerciale. Aprono più imprese nei servizi, pubblici esercizi e format “food” innovativi caratterizzati da una ristorazione anche veloce, spesso con formula take away; dato confermato anche da una recente indagine Nielsen che evidenzia la preferenza dei consumatori del servizio veloce per cene e nel weekend. Cresce anche il numero di marchi commerciali di catene o franchising (sono 80 quelli che si contano in centro storico) e parallelamente, purtroppo, anche quello dei negozi sfitti che sale a 76 solo nelle principali vie del centro storico e dell’oltretorrente. Si assiste quindi ad una progressiva diminuzione dei negozi tradizionali e delle botteghe storiche con conseguenti negative ripercussioni su tutto il comparto economico in quanto il commercio tradizionale riveste un importante valore non solo economico ma anche sociale per un territorio, una grande funzione di servizio, di presidio, di aggregazione e in più anche un importante attrattore turistico.