Nell’attesa che il tribunale di Parma sciolga la riserva sull’omologa del piano di concordato proposto dalla Parmacotto Spa e approvato dall’assemblea dei creditori, contro il quale si schiera invece la Procura della Repubblica che chiede il fallimento dell’azienda, è un’altra procura a mettersi in moto. Quella della Corte dei Conti di Bologna, che ha chiesto e ottenuto il sequestro conservativo di circa 15 milioni di euro di beni dell’ex patron Marco Rosi e del figlio Alessandro, oltre che per il dirigente amministrativo Marco Delsante. Alessandro Rosi compare nelle carte della Corte dei Conti in quanto amministratore di Parmacotto Usa, alla quale la stessa Simest aveva in precedenza riconosciuto dei finanziamenti nell’ambito della promozione delle imprese italiane all’estero.
Il sequestro è già scattato, ma per il via libera definitivo bisognerà attendere l’udienza già fissata per il 16 dicembre. La Corte dei Conti mira a recuperare il finanziamento da 11 milioni di euro concesso nel 2011 sottoforma di aumento di capitale alla Parmacotto Spa dalla società ministeriale Simest, sulla base – secondo l’accusa – di un bilancio “ritoccato”, in cui erano state tolte le uscite per far risultare un saldo positivo che in realtà non c’era. Tanto che nel 2014 l’azienda ha dovuto avviare una travagliatissima procedura di concordato preventivo che ancora aspetta l’ultima parola da parte del tribunale di Parma.
I beni sequestrati questa volta, però, non sono della Parmacotto Spa, ma dei singoli. Gli 11 milioni che erano stati sequestrati all’azienda dalla Procura di Modena, infatti, sono stati restituiti dal tribunale del Riesame che ha considerato prescritto il reato. La Parmacotto, dunque, dispone di tutti i suoi beni e non dovrebbe rischiare altro sul fronte penale. Ma aspetta a giorni solo di conoscere la decisione del tribunale presieduto dal giudice Pio Massa in merito al concordato. Non così invece per Marco Rosi e Delsante, per i quali la Procura della Repubblica ha chiesto il rinvio a giudizio.