Nei giorni compresi tra il 29 settembre e il 1° ottobre, quelli nei quali si svolse il suo congresso fondativo nel lontano 1906, la Cgil compie 110 anni. Nessuna associazione di rappresentanza in Italia, e pochissime in Europa, possono vantare una simile longevità. La storia della Cgil si intreccia profondamente con la storia del nostro Paese, avendo l’organizzazione sindacale contribuito a combattere il fascismo, a costruire la Resistenza, a scrivere la Costituzione repubblicana, a gestire prima la ricostruzione e poi lo sviluppo e le trasformazioni del Paese negli anni del boom economico, ad elevare le condizioni materiali di milioni di lavoratori con le grandi conquiste degli anni settanta, a difendere le istituzioni democratiche negli anni bui del terrorismo e dell’eversione, a costruire baluardi di legalità contro i tentativi di infiltrazione dell’economia e del tessuto sociale da parte della criminalità organizzata.
Tutto questo ha rappresentato la Cgil nel Novecento, ma quando i compleanni assumono dimensioni “anagrafiche” così importanti non possono limitarsi agli aspetti celebrativi: devono diventare un’occasione per guardare al futuro e per mettere la storia e l’esperienza del principale sindacato italiano al servizio di un’idea di costruzione del futuro.
E la Camera del lavoro di Parma, che fu fondata 13 anni prima del sorgere della confederazione nazionale, e che pertanto di quella storia e di quell’esperienza è stata protagonista, vuole ancora oggi partecipare a quel percorso di costruzione.
La crisi e la recessione deflagrate nel 2008, e di cui l’economia reale porta ancora gran parte delle conseguenze, ci hanno consegnato una società più povera e più impaurita, nella quale oltretutto si sono pericolosamente allentati i vincoli di solidarietà. Le sciagurate scelte con le quali a livello europeo si è cercato di tornare alla situazione pre-crisi (cioè ad un modello di sviluppo fondato sulla finanza e sull’indebitamento privato), purtroppo pedissequamente tradotte in italiano dai governi nazionali, hanno reso più fragili nel salario e nei diritti milioni di lavoratori, senza peraltro contribuire in alcun modo al rilancio dell’economia. Anzi. In Europa il capitale finanziario, nel tentativo di rivalorizzarsi eliminando la parte in eccesso, ha distrutto interi pezzi di capacità produttiva, localizzata però in alcuni paesi e non in altri e in particolare nei paesi cosiddetti periferici dell’Eurozona.
Lo dice uno studio recente: rispetto al periodo prima della crisi la produzione metalmeccanica si è ridotta dello 0,7% in Germania, dell’1,6% in Gran Bretagna, del 32,6% in Italia. Vuol dire qualcosa? Certo, vuol dire che si sta rapidamente modificando la mappa della produzione manifatturiera in Europa a scapito dei paesi mediterranei, che le politiche di austerità hanno vincitori e vinti, che i vinti sono i lavoratori di ogni latitudine ma anche il sistema industriale e produttivo dell’Europa periferica e del nostro paese, perchè se si dovesse ancora prolungare il trend di questi ultimi anni lo scenario praticamente obbligato per la nostra economia sarebbe quello di una deindustrializzazione irrecuperabile o la sua trasformazione in una “economia di filiali”.
Per questo la prima idea di costruzione del futuro non può prescindere da un progetto di riduzione delle disuguaglianze e dalla definizione di un modello competitivo alto, non fondato sulla compressione del costo del lavoro (e su riforme del lavoro inutili e dannose), non giocato sulla deprivazione di futuro lavorativo e pensionistico delle giovani generazioni, ma consapevole che qualità del lavoro, diritti dei lavoratori e qualità delle produzioni sono legati da un nesso inscindibile e sono l’unica ricetta per competere su un segmento alto della produttività.
Strettamente connessa alla prima, vi è la seconda idea di costruzione del futuro: la crisi che ha attraversato l’Europa è stata non solo economica, ma anche di democrazia. Le sfide che ci attendono richiedono invece un allargamento degli spazi di democrazia e di partecipazione, nella società e nei luoghi di lavoro. La stessa evoluzione dei sistemi produttivi più avanzati, le opportunità ma anche le incognite legate all’utilizzo delle nuove tecnologie, lo sviluppo dell’economia della conoscenza e l’apporto cognitivo del lavoro che essa implica, richiedono una nuova idea di partecipazione dei lavoratori ai processi decisionali e alle scelte strategiche di fondo delle imprese, non solo in forma individuale ma anche e soprattutto in forma collettiva e strutturata.
Riduzione delle disuguaglianze, modello competitivo di alto profilo, irrobustimento della democrazia e della partecipazione dei lavoratori sono anche i presupposti per reggere alla sfida della società multiculturale e multietnica. Chi pensa di poter arrestare i flussi migratori con il filo spinato ai confini o è un demagogo o è come chi pensa di poter fermare l’acqua con le mani. Gli studiosi ci dicono che almeno due generazioni avranno ancora a che fare con problemi di immigrazione permanente e con numeri almeno dieci volte superiori a quelli attuali. Pertanto urge definire al più presto un modello autorevole di integrazione e di convivenza del quale, e questo è il vero problema, il nostro Paese è sprovvisto.
A questo insieme di sfide la Cgil si sta attrezzando per dare alcune prime risposte. Proprio in questi giorni, corredata da milioni di firme, viene depositata in Cassazione la proposta di legge per una “Carta dei diritti universali del lavoro”: una proposta articolata che cerca di definire un nuovo status giuridico del lavoro, tenendo insieme dipendenti e autonomi, pubblici e privati, fissi e “occasionali”. Un progetto culturalmente ambizioso che sfida anche la politica, le forze sociali e le associazioni datoriali.
A Parma abbiamo la tradizione negoziale e di relazioni sindacali per poter aprire un serio e proficuo dibattito su questa proposta e farla vivere sul territorio. Per noi, sarebbe il miglior modo per celebrare i 110 anni della Cgil, mettendo a frutto la nostra storia e la nostra esperienza per essere protagonisti anche degli anni a venire.
Massimo Bussandri
Segretario Generale CGIL Parma