Nella villa dei grandi capolavori dell’arte, la Magnani Rocca a Mamiano di Traversetolo, un altro grande evento si affaccia con la sua forza dirompente, spezzando gli schemi del classico per gettare uno sguardo sul grande movimento della Pop Art italiana del Novecento. Dal 10 settembre all’11 dicembre, la Fondazione Magnani Rocca ospita “Italia Pop – L’Arte negli anni del Boom”, un’esposizione di circa ottanta opere provenienti da importanti istituzioni pubbliche e prestigiose collezioni private. La mostra – curata da Stefano Roffi e Walter Guadagnini – intende fornire una lettura articolata e innovativa delle vicende che hanno portato alla nascita e alla diffusione di una “via italiana” alla Pop Art, pienamente in sintonia con le analoghe esperienze maturate in ambito internazionale e al tempo stesso linguisticamente autonoma rispetto ai modelli statunitensi ed europei del periodo.
La mostra prende il via da due opere esemplari provenienti dalle stesse collezioni della Fondazione, una “Piazza d’Italia” di Giorgio de Chirico e un “Sacco” di Alberto Burri, primi esempi dell’approccio italiano alla contemporaneità, alla figurazione e all’oggetto. Non a caso, d’altra parte, inizialmente la critica aveva parlato di una stagione “neo-metafisica” a proposito dell’opera di autori come Mario Schifano o Tano Festa, e lo stesso Schifano, come è noto, omaggerà esplicitamente Giacomo Balla e il Futurismo in due serie pittoriche centrali nello sviluppo del suo percorso.
La mostra procede poi con quelli che si possono considerare i precursori del linguaggio Pop che, a partire dall’immediato secondo dopoguerra, hanno affrontato i temi del nuovo paesaggio visivo: Gianni Bertini, Enrico Baj, Mimmo Rotella, Fabio Mauri, le cui opere si pongono, stilisticamente e temporalmente, a fianco di quelle dei neo-dadaisti statunitensi come Jasper Johns e Robert Rauschenberg o dei coevi esponenti del francese “Nouveau Rèalisme”.
Assieme a loro, alla fine degli anni Cinquanta anche autori come Schifano, Renato Mambor, Gianfranco Baruchello riflettono sui temi dello schermo e dell’oggettualità della pittura, ponendo le basi per lo sviluppo della vera e propria stagione d’oro della Pop Art italiana tra il 1960 e il 1966.
In questa sezione si vedranno quindi i capolavori di Mimmo Rotella ed Enrico Baj, degli autori romani riuniti sotto l’etichetta di “Scuola di Piazza del Popolo”, i già citati Schifano, Festa, Mambor, Mauri e poi Franco Angeli, Umberto Bignardi, Mario Ceroli, Giosetta Fioroni, Sergio Lombardo, Cesare Tacchi, Claudio Cintoli, le opere degli artisti operanti a Milano come Valerio Adami, Lucio Del Pezzo, Emilio Tadini, Antonio Fomez, i torinesi Piero Gilardi, Aldo Mondino, Michelangelo Pistoletto, i toscani Roberto Barni, Adolfo Natalini, Gianni Ruffi, Roberto Malquori.
Una lettura che si conclude con la presentazione di un altro fenomeno cruciale nell’evoluzione del linguaggio Pop in Italia, vale a dire quella declinazione che, a partire dal 1966 e almeno fino ai primi anni Settanta utilizza le immagini e gli stilemi della cultura di massa per realizzare un’arte esplicitamente politica, che riflette il nuovo clima sociale diffuso in tutto il mondo alla fine del decennio: in questa sezione si trovano opere di alcuni autori presenti in quelle precedenti come Schifano, Angeli, Bertini, ma soprattutto degli esponenti di quella ”figurazione critica” – come Giangiacomo Spadari, Paolo Baratella, Fernando De Filippi, Sergio Sarri, Umberto Mariani, Bruno di Bello o Franco Sarnari – che si rivelano oggi come un’ulteriore, originale contributo italiano alla diffusione del “popism” in ambito internazionale.
Ciò che rende questa mostra un autentico unicum, è la possibilità di vedere anche una serie di sculture: gli animali in metacrilato di Gino Marotta, le sculture di Pino Pascali, i legni di Mario Ceroli, la “Prima televisione a colori” di Gianni Ruffi. Anche uno splendido e rarissimo quadro di Domenico Gnoli, grande artista morto giovanissimo, proveniente da un’importante collezione privata, entra in dialogo con capolavori della pittura antica della Fondazione. Accompagnano le opere pittoriche e scultoree alcuni significativi pezzi di design dell’epoca, oltre a rimandi all’editoria e alla discografia, che permettono allo spettatore di immergersi appieno nel clima culturale del periodo.
La mostra potrà essere visitata – dal 10 settembre all’11 dicembre – dal martedì al venerdì dalle 10 alle 18, sabato, domenica e festivi dalle 10 alle 19 (la biglietteria chiude sempre un’ora prima della chiusura della mostra). Il martedì alle 15.30 e la domenica alle 16, inoltre, è possibile la visita guidata.