Sequestrati a un’azienda alimentare di Parma beni patrimoniali per 11 milioni di euro. E’ il risultato di una complessa indagine della Guardia di Finanza, durata circa un anno, che ha fatto emergere come gli amministratori avessero ottenuto un finanziamento pubblico di 11 milioni di euro attraverso artifici di bilancio e di contabilità. L’ordine di sequestro dei beni ha colpito la Parmacotto (che ha appena incassato l’ok dei creditori sul piano di concordato preventivo) ed è stato emesso dalla Procura della Repubblica, che con il pm Paola Dal Monte ha coordinato il lavoro investigativo, che ha evidentemente condiviso le risultanze delle indagini effettuate dalle fiamme gialle.
I militari hanno passato ai raggi x bilanci aziendali, contabilità fiscale e la voluminosa documentazione degli atti di gestione, scoprendo appunto che le cose non stavano esattamente come indicato dagli amministratori. Anzi, questi ultimi, secondo l’accusa, attraverso artifici contabili, false attestazioni e la conseguente falsificazione di un bilancio annuale d’esercizio, sarebbero riusciti a far apparire una situazione economico-patrimoniale talmente fiorente da indurre in errore una società di diritto pubblico la Simest (che per conto del Ministero dello Sviluppo economico sostiene gli investimenti produttivi delle aziende), la quale nel settembre del 2011 ha erogato il richiesto finanziamento di 11 milioni di euro.
Denaro pubblico finito nelle casse della Parmacotto grazie a un bilancio “ritoccato”. In particolare, secondo le fiamme gialle, gli amministratori avevano rinviato a esercizi futuri costi di gestione già certi, evitando così di far apparire una consistente perdita di esercizio. La situazione critica “latente” è poi esplosa nel 2014 quando la società si è vista costretta a ricorrere alla procedura, prevista dalla legge Fallimentare, del “concordato preventivo in continuità”, per le enormi perdite non più “occultabili”.
Il reato configurato dalla Procura della Repubblica è quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, commesso dai due amministratori della Parmacotto Spa, ora iscritti nel registro degli indagati. Il sequestro – notificato nello stabilimento del Botteghino (del quale è stata annunciata la chiusura) all’ex patron marco Rosi – mira a recuperare il “denaro pubblico” che l’azienda ha ricevuto indebitamente sotto forma di aumento del proprio capitale sociale: le concessioni di tali forme di “finanziamento pubblico” hanno lo scopo di sostenere le aziende italiane in crescita, sane e redditizie, escludendo, pertanto, “salvataggi” di realtà aziendali che acquisirebbero, così, un ingiusto vantaggio sul mercato a scapito di quelle società che, pur in difficoltà, rispettano le leggi e continuano, tuttavia, ad improntare i loro atti e comportamenti sull’onestà e sull’etica, sia gestionale che contabile.
L’azienda Parmacotto con questo sequestro non verrà ovviamente chiusa: il complesso dei beni aziendali (disponibilità finanziarie, quote societarie, beni mobili e immobili, ecc), sottoposti a vincolo giudiziario, verranno utilizzati e gestiti sotto il controllo di un “amministratore giudiziario” professionista del settore, appositamente nominato dalla Procura della Repubblica, al fine di garantire la continuità e lo sviluppo aziendale e sino al completo recupero, da parte dello Stato, delle somme illecitamente percepite dalla società. L’operazione di servizio si inserisce nel più ampio ambito delle funzioni demandate alla Guardia di Finanza che, quale forza di polizia economico-finanziaria, punta non solo al recupero dei tributi evasi ma anche al controllo della Spesa Pubblica e al recupero dei conseguenti illeciti impieghi di fondi pubblici.
Flai Cgil, Uila Uil ed RSU: a rischiare sono sempre i lavoratori
A pochi giorni dall’omologazione del Concordato Parmacotto è arrivata la notizia del blitz della GDF che ha eseguito un provvedimento di sequestro patrimoniale pari a 11 milioni di euro. I motivi del sequestro sarebbero da ricondurre, da quanto è dato apprendere dai mezzi di comunicazione, a fatti accaduti nel 2011 quando la Parmacotto, guidata da Marco Rosi, avrebbe presentato bilanci falsificati per ottenere contributi pubblici veicolati dalla SIMEST, società controllata dalla Cassa Depositi e Prestiti.
Ancora una volta una grande e importante impresa alimentare parmense è coinvolta in situazioni di dissesto finanziario creato da imprenditori che truccano i bilanci. Ieri con la Parmalat oggi con Parmacotto.
Ancora una volta, a rischiare ci sono centinaia di lavoratori che, già nella fase del “concordato preventivo in continuità”, hanno pagato un prezzo: due anni di cassa integrazione straordinaria e 30 uscite in mobilità volontaria.
Pur in presenza di un piano industriale che non convinceva del tutto il sindacato, l’attuale progetto industriale, presente nel concordato preventivo, consente la continuità produttiva.
Le organizzazioni sindacali FLAI CGIL e UILA UIL e le RSU Parmacotto continueranno a lavorare per scongiurare qualsiasi scenario che possa prevedere una qualsiasi ipotesi di fallimento. Un’ipotesi che vanificherebbe anni di sforzi e sacrifici compiuti in questi due anni da parte di tutti: lavoratori e creditori.
Le organizzazioni sindacali e le RSU nel garantire continuità produttiva pretenderanno, con tutti gli strumenti possibili, con la nuova direzione aziendale, un confronto finalizzato a salvaguardare l’azienda, il marchio, la qualità dei prodotti e i diritti dei lavoratori.
Ancora una volta, così come nel Crack Parmalat, appare sempre più necessario rendere maggiormente trasparente il rapporto fra finanza, produzione e investimenti. Trasparenza che deve servire per salvaguardare i risparmiatori, il lavoro e i lavoratori.
Le organizzazioni sindacali non mancheranno di mettere in campo tutte le possibili iniziative, comprese quelle di mobilitazione, per mantenere una delle tante eccellenze produttive di qualità importanti per il nostro territorio, ma anche per tutto il made in Italy.
Maestri: a rischio 150 famiglie
Le inchieste della procura è giusto che facciano il loro corso e mettano in luce le responsabilità; mi preoccupa molto, però, il futuro dell’azienda e dei 150 dipendenti che ora vivono una fase di grande incertezza. Come spesso accade in questi casi i lavoratori rischiano di pagare il prezzo più alto senza avere alcuna colpa di quanto sta accadendo. La nomina di un commissario che assicuri la continuità aziendale è un fatto importante e positivo, la situazione non è semplice, per un’azienda che da tempo è in sofferenza finanziaria, ma in questo momento occorre fare ogni sforzo per evitare a 150 famiglie di restare senza uno stipendio.
Le responsabilità personali e penali verranno accertate dai tribunali. Sono convinta che il tessuto sociale ed economico di Parma sia sano, ma è impossibile nascondere il fatto che una parte del mondo economico, imprenditoriale e politico abbia fatto degli errori che oggi, tanti incolpevoli, rischiano di subire e pagare. Una riflessione onesta sui legami che negli anni hanno visto dalla stessa parte politici, amministratori locali e imprenditori poi finiti al centro di gravi inchieste giudiziarie, non può continuare ad essere elusa come se nulla fosse.
Patrizia Maestri
Deputata del Partito democratico