E’ noto che già lo scorso 22 aprile si è concluso, con relative sentenze, la parte del processo Aemilia relativa alle 19 richieste di patteggiamento ed ai 71 riti abbreviati, presso il Tribunale di Bologna, con i provvedimenti decisi dal Giudice, con le prime 58 condanne.
Per gli altri 147 imputati è invece avviato il processo con rito ordinario a Reggio Emilia.
Su queste prime sentenze di condanna affrontiamo unicamente l’aspetto – al centro anche dell’ammissione del sindacato come Parte Civile – relativo al lavoro colpito ed offeso dalla rete di imprese malavitose coinvolte.
Significativamente, il dispositivo di sentenza fa anche riferimento alla norma dell’art. 603 bis del codice penale che definisce i reati di “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”, meglio conosciuto come delitto di “caporalato”.
Si tratta, dunque, di una particolare attenzione, nella valutazione di quella prima sentenza, sul versante delle imprese coinvolte nelle attività della “autonoma” ‘ndrangheta in questa nostra regione.
Dei 58 imputati finora condannati, infatti, tra i più significativi si registrano ben 20 “imprenditori” con sede delle attività nelle tre province emiliane di Parma, Reggio e Modena.
Molto significative le loro condanne per i tanti anni di carcere, i rimborsi, i risarcimenti a favore delle parti offese e civili.
Impressiona, in particolare, la corposa parte che riguarda la consistenza degli “ordini di confisca”. Ben 30 sono le imprese/società oggetto di confisca: 21 di Reggio, 8 di Parma e 1 di Modena. Imprese dei settori “tipici” alla esposizione degli interessi ‘ndranghetisti: edilizia, ristorazione, autotrasporto, immobiliare, costruzione porti e aeroporti, legno e componentistica.
Ditte confiscate, compreso il relativo patrimonio aziendale, le quote societarie e conti correnti.
Nelle stesse tre province emiliane si ordina, inoltre, la confisca di 18 terreni, 85 unità immobiliari/appartamenti. Interi complessi residenziali per circa 20 milioni di euro.
Inoltre, la confisca di una decina di autocarri, rimorchi, mezzi di lavoro ed auto di lusso. Infine, la confisca di denaro contante, armi e munizioni, giubbotti antiproiettile, apparecchi speciali per rilevare microspie e microcamere, ecc.
Il punto centrale però, che da tempo il sindacato pone con forza al centro dell’attenzione istituzionale – oltre che legislativa, con la presentazione della proposta di legge di iniziativa popolare a salvaguardia delle imprese sequestrate e confiscate, ora all’attenzione del Senato –, è proprio relativo al destino, all’utilizzo ed alla tutela dal degrado o fallimento dei patrimoni sequestrati/confiscati. In particolare, ovviamente, quando si tratta di imprese, terreni o abitazioni.
Delle 30 ditte emiliane – tutte Srl – confiscate con la sentenza dell’altro giorno, ad esempio, occorrerebbe con urgenza individuare una sede ben qualificata che dopo aver “scremato” le imprese di fatto già in liquidazione e/o quelle vuote, di copertura, possa poi consentire di concentrare gli sforzi e i sostegni efficaci alle aziende che effettivamente gestiscono patrimoni reali, lavoro e mercato effettivo, lavoratori dipendenti che andranno tutelati e tenuti in regola. Lo stesso vale per l’ingente patrimonio oggetto di sequestro in sede di prevenzione e nel processo.
Al tempo stesso, la grande entità dei beni patrimoniali richiede una immediata destinazione, a fronte delle tante emergenze sociali ed economiche e dei tanti possibili “utilizzi temporanei”.
E’ perciò preoccupante leggere, anche dopo l’ultima sentenza, che quei beni del clan confiscati – in attesa dell’appello – sono e resteranno “blindati”!
In tal senso l’Emilia Romagna potrà compiere, con il Testo Unico su Legalità e Appalti in cantiere, esperienze innovative e condivise.
Franco Zavatti
Coordinatore regionale
Legalità e Sicurezza
CGIL Emilia Romagna