Il grande capitano lascia, capitan Futuro resta. Marco Bortolami non lo dice ma il suo sorriso conferma che è arrivato il momento dei saluti – alle Zebre e al rugby giocato – e intanto studia da tecnico di IV livello insieme ad ex compagni come Mauro Bergamasco, Salvatore Perugini, Andrea Lo Cicero e Andrea Marcato, al corso federale che si sta tenendo a Roma. “Tre giorni proficui e interessanti”, li ha definiti il capitano della Nazionale per 40 test-match. Che ora, alla soglia dei 36 anni, si prepara al doppio salto della barricata: da giocatore a tecnico, dalle Zebre al Benetton.
Il mediano d’apertura Carlo Canna resterà invece alle Zebre. Parola di boy scout. Sarà ancora alla corte di Gianluca Guidi e uno dei punti di forza della franchigia del Nord Ovest. E i diversi top club inglesi che ne hanno tessuto le lodi sognando di portarlo Oltremanica, se ne dovranno fare una ragione.
Li abbiamo incontrati entrambi al termine dell’allenamento in vista della gara interna con Glasgow di venerdì 8 aprile alle 19.30. Il primo ad arrivare in sala stampa è la seconda linea che ha scritto una pagina di storia del rugby italiano.
Bortolami, si parla di ritiro a fine stagione. Cosa c’è di vero?
“Sto ragionando è una delle opzioni è anche quella di smettere di giocare e passare ad altro. Nelle prossime settimane avrò le idee un po’ più chiare, però credo sia arrivato il momento giusto nella mia carriera di fare un bilancio per poi capire quale sarà la strada migliore”.
E sul Benetton Treviso?
“Benetton è l’altra squadra che gioca in Celtic League, ha attraversato un anno difficile, si rifonderanno, spero l’anno prossimo abbiano una stagione all’altezza della loro storia”, replica con un pizzico di simpatica ironia.
Sì, ma con Botolami nello staff tecnico?
“Ma non lo so, vedremo vedremo”, risponde con un sorriso che sa tanto di conferma.
Il rugby italiano sta puntando molto sulla linea verde e sono tanti i talenti che stanno emergendo. Come vedi il prossimo futuro della palla ovale nazionale?
“Credo ci sia talento, ci sia qualità come dici. E’ chiaro che il talento da solo – senza la giusta personalità, il carattere, l’attitudine al duro lavoro – rischia di non essere abbastanza. Credo che il nuovo allenatore Conor O’Shea e Mike Catt possano portare una mentalità diversa, un po’ più strutturata sia nel gioco sia nella maniera di affrontare il rugby. E questo potrà essere d’aiuto alla nuova generazione di rugbisti che si sta affacciando alla Nazionale. E’ chiaro che la Nazionale dovrebbe garantirsi un ricambio graduale per avere sempre una performance di buon livello. L’ultimo 6 Nazioni è stato un po’ difficile, però spero che fin da subito il nuovo allenatore riesca a dare la propria impronta”.
Forse nell’ultimo 6 Nazioni è mancata una linea precisa, si è un po’ navigato a vista con tante formazioni diverse…
“Sicuramente potevano essere fatte scelte diverse, ovviamente però l’allenatore è l’ultimo a decidere ed è lui che si prende la responsabilità delle decisioni. Credo che il ricambio generazionale progressivo serva anche a non avere dei blackout, serve sempre un bilanciamento tra esperienza e gioventù”.
Tecnica o fisicità. Cosa manca di più oggi al rugby italiano?
“A rugby si gioca prima di tutto con il cervello. A livello di fisicità e di forma atletica credo che il gap non sia così grande. Probabilmente a livello tecnico la differenza c’è, ma organizzando il gioco in una certa maniera credo si possa gestire questo gap. Quello che ci manca di più, il gap più grande, è l’intensità di ragionamento, la velocità di elaborare le situazioni di gioco e pertanto risultiamo inefficaci. Questo ci porta a spendere di più a livello fisico, per cui alla fine della partita arriviamo a un punto in cui abbiamo speso troppo rispetto all’avversario, ci porta a trovarci in situazioni di inferiorità tecnica come effettuare un passaggio quando non dovresti farlo, piuttosto che dover recuperare una situazione difensiva dove avresti dovuto schierarti in maniera diversa. Credo quindi che prima di tutto bisognerebbe concentrarsi sul gap mentale, perché gli altri ritengo siano un po’ più marginali rispetto a dove siamo in questo momento”.
Parliamo delle Zebre, dove sei punto di riferimento non solo per l’esperienza ma anche per la qualità di gioco che continui ad esprimere nonostante tu stia pensando di lasciare il campo. Si erano viste delle belle mischie ordinate e anche una certa vivacità in attacco, forse qualcosa di meno in touche dove si perdeva qualche palla di troppo, e tutto questo aveva dato risultati e bel gioco fino a gennaio, quando è arrivato il blackout. Cosa è successo?
“Non è successo niente di particolare. Anche quando vincevamo era uno di quelli che diceva che la strada era ancora lunga. E’ successo che a febbraio abbiamo incontrato squadre molto competitive, le irlandesi soprattutto – Ulster, Connacht e Leinster, che stanno facendo una stagione di qualità – le quali hanno probabilmente evidenziato i nostri punti deboli che eravamo riusciti a mascherare o a colmare in altro modo. Adesso stiamo ricercando la via, che sicuramente passa attraverso una fase statica competitiva e una difesa di qualità. Credo che questo si sia visto per 60 minuti a Edimburgo, però è chiaro che non basta: saper gestire bene la palla permette di prendere respiro e di mettere sotto pressione i tuoi avversari. Ovviamente una performance di buon livello, quando abbiamo vinto le partite, quando siamo stati davvero competitivi, l’abbiamo fatta in tutte le aree del gioco”.
In certe prestazioni, dove la casella del punteggio è rimasta a zero, è sembrato che la squadra non fosse abbastanza compatta, non fosse composta proprio da 15 giocatori.
“Non credo, i ragazzi che scendono in campo cercano di fare il meglio che sta nelle loro possibilità e nelle loro capacità. Abbiamo affrontato squadre che si giocano i play off e che danno il massimo, nulla viene mai regalato sul campo da rugby. Se non siamo riusciti a segnare significa che dobbiamo lavorare più duramente e probabilmente lavorare un po’ più collettivamente come dici tu”.
Nel confronto con le squadre irlandesi e inglesi soprattutto, sembra che alle Zebre manchino un po’ di chili e a volte forse un po’ d’esperienza nel gioco uno contro uno, che poi determina l’apertura di falle nella linea difensiva.
“Probabilmente dovremmo iniziare a vedere una partita di rugby non come un uno contro uno moltiplicato per quindici giocatori, ma forse come quindici giocatori in difesa e quindici giocatori contro il portatore di palla. Se entrassimo in questa mentalità, potremmo essere un po’ più uniti in difesa, lavorare un po’ più di gruppo e magari esporre meno i singoli a situazioni che possono stressarli o indurli in errore. Credo che le grandi squadre facciano questo: tengono sempre i singoli in una posizione di forza e comunque anche nell’errore c’è qualcuno pronto a recuperare. Credo che forse dobbiamo migliorare anche in questo”.
Tre gare in casa da qui alla fine e una sola fuori. Cosa pensi si possa portare a casa?
“Abbiamo la possibilità di ottenere una vittoria e un paio di punti di bonus. Dobbiamo essere pronti perché la vittoria potrebbe venire con Glasgow come con Ulster o Dragons. Siamo coscienti che Glasgow e Ulster si stanno giocando i play off quindi verranno qui con la migliore formazione e non sarà semplice, però abbiamo dimostrato anche contro Munster e altri grandi avversari di potercela giocare quando siamo in palla. Se riuscissimo a raccogliere 5-6 punti sarebbe il massimo, ma mai dire mai bisogna affrontare una partita alla volta cercando di migliorare la prestazione della settimana precedente”.
Approfittando anche del fatto che Treviso ha un finale davvero infernale rispetto al vostro, possiamo dire che stavolta sarà finalmente Champions Cup?
“Lo spero per le Zebre, per la squadra, perché se lo meriterebbe di giocare in un palcoscenico così prestigioso anche se molto impegnativo”.
Un impegno che di sicuro non dispiacerebbe affatto a Carlo Canna, anche se lui, a dispetto dei 23 anni, continua a tenere i piedi ben saldi per terra. Come quando al 6 Nazioni non si è scomposto davanti ai complimenti del tecnico inglese Eddie Jones. Grande maturità che, unita alla sua grande umiltà, esalta il campione di oggi e promette ampi margini di crescita domani. Già domani…
Canna, quanto c’è di vero dietro queste voci di un possibile addio alle Zebre per volare in Inghilterra?
“Nulla, è stata solo una voce circolata su internet. Non ho ricevuto una vera offerta, in un articolo si diceva soltanto che il direttore tecnico del Sale Shark faceva diversi nomi tra cui il mio. Sono solo voci, quindi resto qui anche l’anno prossimo”.
Sicuro?
“Si, si, si…”.
Tra Zebre e Nazionale, anche se il 6 Nazioni è andato un po’ così, per te questo è stato un anno straordinario, caratterizzato da prestazioni maiuscole.
“E’ il primo anno che ho intrapreso questa via di alto livello, prima con le Zebre con cui abbiamo collezionato diversi risultati positivi, dopo mi son trovato prima al Mondiale poi al 6 Nazioni da titolare… Peccato che sul più bello mi sono infortunato, c’è un po’ d’amaro in bocca”.
Adesso però hai recuperato, come si è visto nella mezz’ora di Edimburgo
“Sì sto bene, spero di giocare titolare venerdì”.
Senza Canna le Zebre hanno perso fantasia in avanti e soprattutto gioco al piede, per non parlare dei drop.
“Sono già quattro partite che perdiamo e non facciamo punti. Fare zero punti in una partita non è la cosa più bella che ci sia. Anche in questa settimana ci siamo detti che la voglia di fare punti deve essere la prima cosa e poi fare un’ottima prestazione contro una squadra che pretende di andare ai play off e che quindi non sarà di certo facile. Ci proveremo in tutti i modi, sia con un drop sia con la meta ma dobbiamo riuscire a fare più punti possibili se non anche fare nostra la partita. In questo momento anche solo un punto è importantissimo per la classifica”.
Tra Nazionale e infortunio hai potuto osservare un po’ dall’esterno le Zebre. Secondo te, da gennaio in poi, cosa si è rotto nella franchigia del Nord Ovest?
“Credo non si sia rotto nulla, ma venendo a mancare un terzo della squadra se non addirittura metà è normale che alcuni meccanismi vengano meno. Giocatori che erano stati meno impegnati, ritrovandosi in campo forse avevano meno attitudine di quelli che c’erano prima. E poi abbiamo affrontato delle trasferte importantissime, soprattutto quelle irlandesi, dove non è mai facile. Anzi anche negli anni passati con la squadra al completo abbiamo avuto delle sonore sconfitte. Secondo me ha pesato l’assenza dei nazionali, ma ora con l’innesto di molti di questi – anche se alcuni sono infortunati – la speranza è di riprenderci un po’ e di finire nel migliore dei modi la stagione”.
Adesso torni a tempo pieno e ci sono ben tre gare su quattro in casa. L’ho chiesto a Bortolami e lo chiedo anche a te: realisticamente cosa pensi si possa portare a casa?
“Sicuramente bisogna portare a casa delle ottime prestazioni e soprattutto dimostrare che il movimento rugbistico, nonostante queste vicende societarie che si sono succedute nel corso dei mesi, va avanti e siamo vogliosi di fare bene. Con Glasgow e Ulster, sulla carta, sono due partite per noi proibitive, ma una volta scesi in campo poi sarà da vedere. Sono due squadre in corsa per i play off e la corsa è veramente aperta. Contro Newport occorre chiudere il campionato con una vittoria. All’andata abbiamo perso 13 a 0 con diverse assenze per noi. Quindi c’è la voglia di rivaleggiare sicuramente con Glasgow e Ulster per strappare un punto oppure per cercare di vincere la partita, mentre con Newport dobbiamo sicuramente fare nostra la gara”.
I giovanissimi delle Under stanno portando a casa ottimi risultati, tu ormai sei diventato un orgoglio nazionale, dall’Eccellenza arrivato tanti talenti importanti visti anche come permit nelle Zebre. Perché, secondo te, con tanti ottimi solisti le orchestre non riescono ancora a dare il meglio? Cosa, secondo te, non va nel rugby italiano?
“Sicuramente negli anni ci è mancata la continuità. A volte noi italiani siamo propensi a fare delle ottime partite e subito dopo abbassiamo un po’ la concentrazione e subiamo delle sconfitte che ricordiamo negli Annali. Un ragazzo che arriva in una squadra ovviamente vuole mettersi in mostra per cercare di fare il meglio possibile, ma in campo di va in quindici e non è di certo facile amalgamare i nuovi con giocatori d’esperienza. Non è una cosa che viene automatica, bisogna costruirla nel tempo. Tutti i giocatori italiani singolarmente possono confrontarsi con quelli gallesi, però dopo è la squadra che fa la differenza. Sta sicuramente al tecnico riuscire a creare un gruppo”.
Partito da Benevento, passato per le Fiamme Oro, arrivato alla corte di coach Gianluca Guidi con cui sei definitivamente esploso. Cosa ti ha dato in più rispetto al passato il tecnico delle Zebre?
“Lui mi ha spinto ad essere metodico, costante in quello che faccio, non vivere di alti e bassi come spesso mi accadeva in Eccellenza dove in alcune partite riuscivo a dare il meglio di me e in altre stavo in campo in maniera blanda. Qui invece occorre che in ogni partita ci metta del tuo, lui ci tiene tanto a livello difensivo e su questa fase, in questo anno, ho dovuto migliorare tanto per conquistare il posto da titolare”.
Ettore Iacono