Il referendum che vorrei

Il referendum che vorrei

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Il 17 aprile la parola agli elettori: via libera alle trivelle marine o piccolo segnale di discontinuità sulla strada delle riconversione energetica del Paese?

La lotta sarà al quorum, perché senza il 50% il voto sarà invalidato. Il silenzio dei media è quasi totale, solo qualche breccia per dire che è tutto sbagliato. Si è letto anche di ordini perentori verso alcuni Comuni da parte di prefetture che impongono il bavaglio sull’appuntamento del 17 aprile. I sostenitori del sì, i no-triv insomma, ribadiscono i danni che l’ambiente subisce da questo tipo di approvvigionamenti.

Dalle piattaforme fuoriescono come una scia lugubre composti chimici pericolosi per la salute che ammorbano le nostre acque e alla fine giungono a noi attraverso la catena alimentare. I sostenitori del petrolio blandiscono i rischi per l’occupazione e la dipendenza energetica dall’estero, ritornando al tema del nucleare, vietato in Italia, utilizzato a più non posso dai cugini francesi, dai quali poi alla fine andiamo a comperare energia, nucleare ovviamente.

Ma i pozzi sono privati, il ritorno economico delle concessioni irrisorio, i posti di lavoro minimi. Del resto al centro dovrebbe stare il tema stesso, se sia la ricerca degli idrocarburi il futuro o il passato del nostro Paese, che tipicamente non è il Texas o il Medioriente, ma un luogo di ingegno, frutto proprio della scarsità di materie prime.

Un referendum come occasione di cultura. Dando magari la possibilità a tutti i cittadini di formarsi un’opinione. Ascoltando i pro e i contro, sentendo le due campane, e poi compilando la scheda elettorale. Invece si sceglie la strada della negazione silenziata, antitesi alla democrazia in cui apparentemente viviamo.

Dovrebbe essere un dovere per tutti gli organi di informazione porre attenzione all’appuntamento del 17 aprile fornendo ai loro lettori o spettatori una opportunità di approfondimento. Fornendo cultura, che dovrebbe essere il loro scopo vitale.

Ancora una volta sembrano i gruppi di potere a dettare la linea. L’economia a dirigere la politica, come un direttore d’orchestra che non ammette alcuna stecca. Votare sì al referendum del 17 significa riportare pesi e misure al loro posto. Significa smettere di considerare il pianeta un luogo da sfruttare fino all’estremo destino, di cui poi tutti si vanno stracciando le vesti di summit in summit.

Ecologia sociale che diventa ecologia della mente. Andiamo a votare il 17.

Aldo Caffagnini

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